Kabul

Il tesoro di Alessandro Magno è al sicuro

I talebani cercano gli ori di Battria, la storia si ripete: con il loro arrivo sono di nuovo spariti come nel 1996. Mohammad Fahim Rahimi, direttore del Museo Nazionale dell’Afghanistan, li ha messi al sicuro per ora

di Roberta Capozucca

La corona ripiegabile di Tillya-Tepe dalla mostra “The Bactrian Hord” , British Museum (2011) - Foto di Ben Stansall/ AFB via Getty Images

4' di lettura

Nonostante le rassicurazioni sulle testate internazionali, emergono le prime preoccupazione sulla sicurezza del patrimonio culturale afgano. Recenti dichiarazioni del rappresentante della Commissione Cultura, Hamdullah Wasiq, riportano che i talebani sarebbero sulle tracce del Tesoro della Battria. La preziosa collezione di epoca Kushan ( I - III sec circa ) era conservata in un caveau del palazzo presidenziale sino alla fuga di metà agosto dell'ex presidente Ashraf Ghani. Da allora, dello straordinario corredo funebre non si sa più nulla.

L'oro del regno perduto di Alessandro Magno

Noto anche come Bactrian Gold o Bactrian Treasure, il tesoro proveniente dai territori del regno di Alessandro Magno, rappresenta una delle più grandi collezioni d'oro esistenti al mondo. Scoperto nel 1978 nell'area di Tillya Tepe, nel Nord dell'Afghanistan è costituito da circa 20.600 oggetti d'oro e d'argento scelti come corredo funebre di cinque donne e un uomo tra cui anelli, monete, orecchini, braccialetti, collane, cinture e corone. Tra gli oggetti più noti rinvenuti nelle sei tombe, c'è una corona realizzata in foglia d'oro, alta circa 13 cm, e completamente ripiegabile di Tillya-Tepe a supporto degli spostamenti del popolo nomade (in foto dalla mostra “The Bactrian Hord” , British Museum (2011)” Foto di Ben Stansall/ AFB via Getty Images ). Per il loro inestimabile valore economico, ma anche perché incarnano le più profonde fantasie coloniali occidentali, gli ori della Battria sono sempre stati oggetto di grande interesse.

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Il direttore del Museo Nazionale dell’Afghanistan Mohammad Fahim Rahimi in una visita ufficiale

La prima scomparsa

La prima volta che si perse traccia degli ori fu nel 1996, quando a seguito della ritirata russa, l'allora direttore del museo Omara Khan Masoudi organizzò il trasferimento degli ori nel Palazzo presidenziale. Una scelta lungimirante dato che da lì a breve un missile avrebbe devastato le sale del museo, spazzando via il tetto, e aprendo le porte alle razzie. Ma anche allora degli ori si persero le tracce; c'è chi li immaginava sul mercato nero, chi sosteneva fossero stati fusi da Najibullah per comprare armi, ma la verità, che venne a galla solo qualche anno più tardi, è che il direttore aveva li aveva trasportati di nascosto nel sotterraneo della Banca Centrale, costruito cinque metri sotto il palazzo presidenziale. Un'operazione silenziosa resa possibile anche grazie al coraggio di Ameruddin Askarzai, l'unico dipendente della Banca Centrale a conoscenza del segreto, che fece in modo di spezzare la chiave del caveau davanti ai talebani prima che questi potessero accedervi.
Gli ori rimasero nascosti per circa un decennio e solo nel 2004, tre anni dopo la nomina del nuovo presidente, Ahmid Karzai i due ne rivelarono la posizione restituendo al mondo un tesoro inestimabile. Da quel momento i 20.600 pezzi, che miscelano il gusto persiano a quello greco e raccontano di un popolo sofisticato a controllo della via della Seta, sono stati esposti in 13 paesi con un ritorno economico sui prestiti di circa 4,5 milioni di dollari.

L’oro è al sicuro

Ma ancora la storia si ripete e mentre i talebani prendono il potere, gli ori della Battria spariscono. Che siano ancora nel palazzo oggi in mano ai talebani o che siano già stati trafugati? Nessuno lo sa e anche il direttore del National Museum of Afghanistan, Mohammad Fahim Rahimi, al momento non ha fornito rassicurazioni precise. Arteconomy lo ha intervistato per cercare di fare chiarezza sulla vicenda.

Mohammad Fahim Rahimi, Direttore del Museo Nazionale dell’Afghanistan

Quando è arrivata alla tua attenzione la scomparsa degli ori della Battria?
Gli ori sono al sicuro, ma su questo non posso dire altro. Da quanto sono direttore del Museo Nazionale dell'Afghanistan, nel 2016, il tesoro della Battria è sempre stato una delle maggiori preoccupazioni della comunità internazionale. Certo non posso biasimarla perché la situazione negli ultimi quarant'anni è stata altalenante, ma quello che posso assicurarle è che se l'occidente guarda agli ori e alla loro possibile scomparsa come una catastrofe culturale, oltre che a un danno dal valore economico inestimabile, per l'Afghanistan gli ori della Battria rappresentano uno degli ultimi baluardi di orgoglio nazionale e, forse, più di qualsiasi altro sito o reperto, sono il simbolo della nostra storia fatto di mescolanze e incontri tra popoli e culture; in qualche modo rappresentano l'Afghanistan che c'era e che vorremmo.

Il museo ha subito danni?
Ebbene, la sicurezza del patrimonio afghano si trova punto a capo, il Museo Nazionale è sopravvissuto alla transizione di potere, ma non si può certo dire che siamo al sicuro. Al momento non c'è stato nessun saccheggio, ma prevedere il futuro è impossibile; il museo è chiuso per ragioni di sicurezza e lo rimarrà finché non saremmo certi della stabilità della situazione e del fatto che visitare il museo non costituisca un pericolo per i cittadini.

Come state proteggendo le collezione? Offrirle ai paesi partner è un'opzione?
Anche noi come ogni museo abbiamo un piano per la messa in sicurezza delle collezioni, specialmente in caso di conflitto armato, che include la realizzazione di rifugi all’interno e all’esterno del paese, si tratta di uno dei principi cardine del trattato internazionale stipulato all'Aia nel 1954 (Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato). Su questo stiamo ovviamente ragionando mentre, invece, sulla possibilità di offrire le collezioni ad altri musei esteri, nonostante la trovo una buona idea, non credo che ora sia un'idea perseguibile, sarebbe visto come una mancanza di fiducia nei confronti di questo governo.

Da direttore di un istituto culturale, come stai vivendo il tuo ruolo in questo momento e che indicazioni stai dando ai tuoi collaboratori?
Per il momento tutto il personale continua ad andare in ufficio, tutto tranne le donne che, in quanto dipendenti pubblici, devono adeguarsi alle direttive emanate dall'attuale governo.
Nel nostro museo, la forza lavoro femminile consta di circa il 25-30% del totale ed è inutile dire che sono molto più preoccupate rispetto alla parte maschile per una futura evoluzione della situazione. In ogni caso, nessun dipendente del museo come qualsiasi altro dipendente pubblico ha ricevuto uno stipendio negli ultimi due mesi e per molte famiglie questa situazione inizia a diventare insostenibile. Una comunicazione ufficiale è arrivata qualche giorno fa: i talebani chiedevano a tutti i dipendenti del governo di restare ai loro posti e che a breve gli sarebbero stati saldati tutti gli arretrati. Quanto a me, come direttore del principale museo del Paese, in questo momento non posso far altro che proteggere la sua collezione e insieme ad essa la storia dell'Afghanistan, è questa la mia forma di resistenza. Per quanto altro tempo mi lasceranno farlo, questo non so dirglielo.

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