«Il traffico internet è cresciuto con la pandemia, la rete ha tenuto grazie al cloud»
I volumi si sono confermati molto più alti anche dopo il lockdown nel punto di interscambio milanese: a dicembre picchi di 1,3 Terabit al secondo
di Gianni Rusconi
4' di lettura
Quando il campus di via Caldera, nella periferia di Milano, iniziava a popolarsi significativamente di Internet service provider a metà degli anni Novanta, nessuno poteva ovviamente immaginare a quali livelli di stress sarebbe stata sottoposta l'infrastruttura di rete nazionale a causa del totale lockdown del Paese e del vertiginoso aumento delle connessioni.
Eppure, proprio in quel periodo (era il 1996) nasceva il primo “mix” italiano, e cioè il primo servizio di interscambio del traffico dati fra vari operatori per suddividere il carico degli accessi, innovazione che fece da apripista per la nascita, qualche anno più tardi, del Milan Internet eXchange così come lo conosciamo oggi.
Il MIX venne infatti costituito il 27 gennaio 2000 da una trentina fra le società più importanti dell'Internet tricolore e da allora opera da base portante e da collante per il funzionamento dell'intera infrastruttura di rete italiana.
A distanza di 20 anni, il traffico dati scambiato è cresciuto di circa mille volte, la superficie del data center di circa sette volte e gli operatori Internet (fra service e content provider, carrier telco e società di hosting, un quarto dei quali internazionale) che collegano le proprie reti al punto di interconnessione multipla di Milano per fare “peering” sono oltre 300.
Sin dalla sua nascita, sulla poltrona di presidente del MIX siede uno dei massimi esperti di Internet in Italia, Joy Marino. Ed è lui a raccontare come si è comportata la Rete in questi undici mesi segnati dal boom delle connessioni alimentato dallo smart working, dalla didattica a distanza, dallo streaming e dall'aumento sostanziale del tempo speso online.
La resilienza dell'infrastruttura Internet italiana
L'impressione di Marino, circa la capacità di resistenza della rete negli ultimi dodici mesi, è tutto sommato positiva: «Ci sono stati disfunzioni e rallentamenti, ma nell'insieme credo che abbia retto bene, anche perché muovere una levetta e dare alla rete il ruolo di intermediario unico di tutte le attività da svolgere da remoto perché non si potevano più fare in presenza era una scommessa piuttosto azzardata. Poteva fallire miseramente e invece ha retto, segno che, dal mio punto di vista, gli interventi infrastrutturali finalizzati a colmare il gap con gli obiettivi di Europe 2020 erano in corso d'opera da diversi anni».
L'infrastruttura ha tenuto e secondo il presidente del MIX c'è un termine, a suo dire spesso abusato nel corso dell'ultimo anno, che ben rappresenta il ruolo giocato dal centro di Milano: resilienza.
«La capacità di reagire a situazioni critiche che non potevano essere previste - spiega - è una caratteristica che accomuna tutti gli Internet Exchange e il nostro compito è da sempre quello di far fronte ai cambi improvvisi dei flussi di traffico. Al momento del primo lockdown, lo scorso 10 marzo, abbiamo veicolato come MIX flussi di scambio dei dati cresciuti anche del 100% e di cui nessuno avrebbe mai immaginato le dimensioni né la direzione».
Risorse virtuali per continuità di servizio
La possibilità di continuare ad operare senza particolari interruzioni anche nei giorni del blocco totale del Paese ha, secondo Marino, una duplice spiegazione. Da una parte il fatto che tutti gli operatori di telecomunicazione hanno da subito lavorato intensamente per potenziare le direttrici di traffico messe alla prova dai nuovi flussi; dall'altra gli interventi operati da soggetti come il MIX, che nello specifico ha raddoppiato la capacità dei link in fibra ottica e aggiunto porte di interconnessione presso il proprio data center e quelli dei suoi partner.
«É stata un'opportunità unica – ricorda in proposito Marino - per fare in poche settimane quello che non era stato fatto in cinque anni di campagna di promozione della transizione digitale».
I dati di consuntivo rilevati dal MIX alla fine del 2020 confermano in effetti come dall'autunno in avanti, da quando il Paese è tornato in una condizione di quasi normalità, il traffico sia stabilmente maggiore di quanto non fosse all'inizio del lockdown di marzo-aprile, con picchi che a dicembre hanno raggiunto la soglia di 1,3 Terabit al secondo.
Tutto merito delle reti, dunque, se molti processi aziendali non si sono interrotti e l'intera popolazione ha potuto godere di connettività in modo ininterrotto o quasi? Non esattamente. «Personalmente ritengo che il vero fattore-chiave sia stata la tecnologia del cloud computing, più che quella delle reti basate su protocollo Internet, e per nostra fortuna il cambio di paradigma per passare dalle soluzioni residenti su infrastrutture on premise alle soluzioni distribuite su server virtuali era già avvenuto con gradualità negli anni precedenti».
La trasformazione digitale: ora o mai più
Dalle parole di Marino emerge infine una sorta di monito rivolto al sistema delle imprese e alle istituzioni tutte, monito che nasce da una precisa considerazione. Se la pandemia, con tutto ciò che ne è conseguito, fosse piombata sull'Italia solo qualche anno fa, l'impatto sarebbe stato molto più critico, e non tanto per l'infrastruttura delle reti quanto per il processo di digitalizzazione delle aziende.
Marino cita a titolo di esempio lo smart working: «Per farlo è necessario che l'impresa abbia già migrato i propri server in cloud e che i terminali di accesso siano già diventati dei dispositivi agnostici e connessi via Internet. Solo cinque anni fa questa transizione era soltanto all'inizio e l'offerta di data center in grado di ospitare batterie di server in cloud era quasi inesistente. Lo stesso vale per i sistemi di videoconferenza. Quando è scoppiata la pandemia, le piattaforme sulle quali girano Skype, Zoom, Teams, Whatsapp e altri servizi avevano già punti di presenza in Italia».
Superato il momento più critico della crisi, le reti sono ora chiamate ad accompagnare il Paese a recuperare il gap con il resto d'Europa che da anni caratterizza in modo evidente il ritardo accumulato in fatto di innovazione digitale.
Sul tema, Marino ha un'idea ben definita, e per certi versi estremamente critica. «O il divario digitale viene colmato nel giro di pochissimi anni, cinque al massimo, sfruttando anche l'ineluttabilità dei nuovi comportamenti dei consumatori, oppure non ci riusciremo mai più e ci saremo tagliati fuori da soli dal novero dei Paesi avanzati».
Guardando all'immediato futuro, il presidente del MIX si dice però «moderatamente ottimista», e per un semplice motivo: «Siamo un Paese incapace di pianificare, ma veloce ad adattarsi ai cambiamenti nei momenti di difficoltà».
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