Vini analcolici, il trend salutista fa bene al business delle bollicine
Gli “zero alcol”, che sono stati il segmento di mercato più performante del 2019 (+25,5% a volume, secondo IWSR), attirano i big del settore che brevettano nuove bevande per un mercato in continua espansione
di Manuela Soressi
3' di lettura
Prendete un borgo adagiato sulle dolci colline anconetane e famoso da secoli per i suoi vini (è la culla del Verdicchio dei Castelli di Jesi) e gemellatelo con un paese turco, Kalkan, dove l'alcol è proibito. Che bevanda locale offrire, quindi, ai “cugini” anatolici? Un succo d'uva, dunque 100% analcolico, ma simile a uno spumante sia per la bottiglia champenoise che per il gusto e il perlage. Si è aperto così, da un'esigenza spicciola, un nuovo mercato, che negli anni si è poi andato ampliando e consolidando. La prima azienda marchigiana a puntarci è stata Colonnara creando Icemary: un succo d'uva spumante, certificato biologico, fatto al 98% di succo d'uva a cui vengono aggiunti acido citrico, per bilanciarne la dolcezza, e anidride carbonica, per renderlo frizzante.
Il vino a prova di palloncino
“Lo abbiamo creato in collaborazione con una società presente nei paesi arabi per rispondere alle esigenze del mercato che non beve alcool ma poi il progetto si è sviluppato e ci siamo resi conto che c'era spazio anche in diversi altri Paesi” spiega il coordinatore generale dell'azienda, Daniela Sorana. Oggi Icemary è largamente esportato in Europa, Cina, Giappone e Stati Uniti, mentre tra i paesi arabi è presente solo in Qatar. I maggiori estimatori sono gli scandinavi (in particolare i finlandesi) e gli olandesi, mentre gli italiani restano affezionati al vino “classico”. A parte quando si tratta di passare una serata allegra senza timore del “palloncino”: allora sapere di poter fare un ricco aperitivo o passare una serata allegra senza correre il rischio di far schizzare l'etilometro è una buona ragione per avvicinarsi alle bollicine analcoliche. Su questo vantaggio, infatti, si basa la comunicazione del brand Bella, la gamma di bevande analcoliche a base di mosto d'uva ottenute con un processo produttivo brevettato in esclusiva mondiale da Iris Vigneti.
“Bella è distribuita in locali frequentati da un pubblico salutista, come i vegani, e in hotel e ristoranti di lusso che attraggono una clientela internazionale – afferma il proprietario dell'azienda Loris Casonato - . Ma è soprattutto all'estero (paesi asiatici e arabi in particolare) che ha successo, perché porta l'Italian lifestyle, nei sapori e nel design, anche a chi non può o non vuole bere alcolico. Sono numerosi i Paesi che apprezzano il vino (soprattutto spumante) analcolico e così a livello mondiale è andata crescendo l'offerta al punto che uno dei temi in discussione nella riforma della politica agricola europea, e di conseguenza della OCM Vino, è proprio la definizione di nuove categorie di prodotti senza alcol o con ridotta gradazione alcolica.
Lo zero alcol che conquista diversi mercati, non solo quelli islamici
Una necessità legata al trend vincente degli spirits “zero alcol”, che rappresentano ancora una nicchia ma che sono stati il segmento di mercato più performante del 2019 (+25,5% a volume, secondo IWSR), attirando i big del settore. Infatti Diageo e Pernod Ricard hanno rilevato quote dei due brand di maggior successo: Seedlip e Ceder's. Il mercato è, dunque, in forte evoluzione. Strada facendo il focus si è spostato dai paesi islamici a quelli anglosassoni, e il posizionamento è cambiato, non puntando più solo sulla certificazione halal (necessaria per i musulmani osservanti) ma piuttosto sulle caratteristiche salutistiche. In effetti, il succo d'uva “spumantizzato” rappresenta una bevanda adatta a tutti (bambini compresi) ed è un'ottima base per drink leggeri e per i modaioli mocktail. E qui si apre un mondo, tanto che nel business sono entrati altri produttori vinicoli, come le Cantine Sgarzi e come Astoria che ha lanciato Zerotondo, anch'esso dapprima nato dal coinvolgimento dell'azienda in alcune iniziative sociali multireligiose ma poi diventato un'opportunità commerciale per completare l'offerta e aprire nuovi mercati (l'export raggiunge 80 Paesi).
Per soddisfare i desiderata dei consumatori attenti al benessere e al salutismo Astoria Wines (così come Colonnara) ha scelto di evitare i processi chimico-fisici di “dealcolizzazione”, utilizzati da alcuni competitor, e ha preferito lavorare il mosto con una pressatura soffice e, dopo una breve macerazione a freddo, conservarlo in appositi serbatoi refrigerati per evitare che fermenti e aggiungere l'anidride carbonica solo prima di imbottigliarlo.
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