Il trionfo dell’iconoclastia antirazzista
Mentre cadono le statue dei colonizzatori “razzisti”, si riflette sul potere delle immagini e sulla tutela dei monumenti
di Giuditta Giardini
4' di lettura
È successo tutto molto velocemente, la scorsa settimana i cortei anti-razzisti scendevano per le strade per la morte di George Floyd marciando contro polizia e governo e ora il bersaglio sono diventate le statue delle principali piazze europee e americane. Negli Stati Uniti, a Minneapolis, cuore delle proteste, la prima testa a cadere è stata quella di Cristoforo Colombo, un'altra statua dell'esploratore è finita in acqua a Richmond e altre ancora, tra Massachusset e Virginia, sono state vandalizzate o distrutte. In inghilterra, ad essere colpiti sono stati i monumenti di Edward Colson di Bristol, mercante, filantropo e commerciante di schiavi, Robert Milligan di Londra, anche lui arricchitosi con la tratta degli schiavi, e sono state vandalizzate le statue della Regina Vittoria a Woodhouse Moor, Leeds, e del presidente Winston Churchill nella Piazza del Parlamento londinese. I manifestanti inglesi hanno compilato una sorta di lista sillana, chiamata “hit list”, con 78 statue bersaglio, secondo loro inneggianti all'odio razziale, che devono essere abbattute. Tutto sembra essere partito dalla dichiarazione su Sky News del membro del parlamento britannico, Nadhim Zahawi, di origine irachena ed esponente del partito conservatore: “i mercanti di schiavi non dovrebbero avere statue in loro onore” e ancora “abbattere quelle statue non dovrebbe essere un'effrazione della legge, ma dovrebbe avvenire mediante processo democratico”. Anche in Australia e Sud America si stanno abbattendo controversi colossi in bronzo; in Belgio, la statua del Re Leopoldo II è stata imbrattata con scritte “razzista” o “perdono” per le atrocità commesse in Congo.
Ragioni storiche
L'iconoclastia antirazzista di questi giorni fa discutere e l'opinione pubblica si spacca: c'è chi benedice gli attacchi al punto di suggerire di non usare spray lavabili, ma lanciare oggetti contundenti per piegare il bronzo; altri dicono che si stia perdendo di mira il vero obiettivo della protesta; ed altri ancora condannano il relativismo storico che è la finalità di queste - da loro definite - barbarie. La domanda che tutti ci poniamo è: perché le statue? Per rispondere bisogna considerare il cosiddetto “potere delle immagini” che è il soggetto dell'opera del professore della Columbia University David Freedberg. Secondo Freedberg le controversie iconoclaste viaggiano attraverso le culture e le religioni e sono un fenomeno ciclico e ricorrente. Dal grande movimento iconoclasta di Bisanzio, passando per la Riforma protestante, la Rivoluzione francese, quella russa, fino all'abbattimento della statua di Saddam Hussein a Baghdad nel 2003, con la distruzione di una statua si cerca di distruggere il potere evocativo dello spirito della persona che è racchiuso nel simulacro. Questa idea è peraltro condivisa dalle più antiche religioni, dalla greca, alla buddista e nell'Esodo, nelle tavole della legge, è proprio Dio a dire al suo popolo: “non ti farai idolo, nè immagine alcuna”.
Favorevoli e contrari
Le ragioni di coloro che si oppongono alla “hit list”, sono soprattutto timori da storici e accademici, Sir Geoff Palmer, professore di colore della Heriot-Watt University di Edimburgo, in un'intervista a Euronews afferma “la mia paura è quella che tra cento anni uno si domanderà: chi è Edward Colston?”. Gli studiosi di storia romana sanno bene quello di cui Palmer parla, con la pena della damnatio memoriae, con cui i romani cancellavano ogni effigie dei traditori della patria, è stata stralciata per sempre la memoria di alcuni personaggi storici, fondamentale per capire il cammino dell'umanità. Negli Stati Uniti le statue e la loro simbologia rientrano nel cosiddetto government speech, attraverso le statue disseminate nelle piazze e nei parchi il governo parla al popolo senza che si applichi la dottrina del primo emendamento della Costituzione che protegge la libertà di parola e di stampa e altre volte la limita. Tra le varie statue che negli anni avevano fatto discutere, celebre è il caso dell'obelisco della Battaglia di New Orleans (1874), eretto in memoria dei soli “bianchi caduti lottando” che inneggiava al trionfo della “white supremacy”. Il monumento è stato rimosso nel 2017. Accanto ai monumenti carichi di odio razziale, esiste un insieme di statue che non sono così dichiaratamente “hate speech” e controverse, ma che offendono una parte della comunità che è stata vittima dei soprusi. Cosa si fa oggi con quelle statue? Distruggerle non sembra la soluzione perché si finirebbe nel circolo vizioso del relativismo storico, si potrebbe cambiare la narrazione con pannelli educativi che spieghino come quella statua è percepita nel 2020, altri avanzano l'ipotesi della ri-collocazione in musei.
L'Italia
Nell'Europa di oggi, epurata delle immagini dei leader nazisti e fascisti, queste polemiche non sono nuove. In Italia, dove spesso si dibatte sul se “tenere o distruggere” monumenti o palazzi del ventennio, oggi, cavalcando il trend internazionale c'è chi ri-chiede la rimozione della statua del giornalista Indro Montanelli dai suoi giardini a Milano, additandolo come filo-fascista e finto resistente. Lunedì 15 giugno, è apparso per Via Torino a Milano, uno sticker “Monumento in memoria della sposa bambina in Montanelli” a condanna del presunto matrimonio tra il giornalista italiano e una bambina eritrea di 12 anni, al tempo in cui l'Eritrea era colonia italiana. Sbarazzarsi di una statua non è così facile, i simulacri di donne e uomini disseminati sul territorio nazionale, quello regionale o degli enti pubblici territoriali sono proprietà dello stato a norma dell'articolo 10 del D.L. 42/2004. Lo stato può acquisire la titolarità anche delle statue private che dal loro proprietario vengono, per esempio, dedicate all'esercizio del culto o poste in luoghi pubblici, quindi per facta concludentia, oppure mediante una dicatio ad patriam formale. In quanto beni del demanio culturale, le statue hanno un valore patrimoniale, ma sono inalienabili, soggette alla cura e custodia di competenti enti statali, nonché irremovibili e inalterabili senza l'autorizzazione del soprintendente competente.
Rimettiamo ai posteri giudicare se sia corretto abbattere le statue commemorative di commercianti di schiavi, conquistatori o mercanti, o se si possa modificare la narrativa con cui le statue vengono presentate al pubblico anche ricollocandole in musei. La lezione per i contemporanei è quella di non dare per scontato nulla di quello che ci circonda perché, come ci insegnano le vicende rinascimentali dei David fiorentini, l'arte pubblica è politica in quanto voce dello stato che parla al popolo scegliendo i suoi eroi e le sue vittorie. Ancora nel 2020, le statue, che credevamo mute o aventi solo un mero valore celebrativo o economico, racchiudono una forza politica e un potere di scaldare le folle indiscusso.
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