Il turismo italiano e la rana bollita
di Josep Ejarque
3' di lettura
Accade spesso che, davanti al successo, un’impresa perda di vista il bisogno di consolidarsi e crescere; risultati positivi, che in certi casi dipendono più da fattori esterni che interni, possono impedire di percepire tempestivamente segnali sintomatici di disfunzioni.
Per il turismo italiano, il 2017 si appresta a rivelarsi un anno record: la soddisfazione è tornata e così il convincimento che il peggio sia passato; ma è proprio davanti all’apparente successo che risulta necessaria la cautela, per non finire come quella didascalica rana che, immersa in una tiepida e gradevole pentola d’acqua, non si accorge di come, poco a poco, stia finendo bollita!
Il successo turistico 2017 dell’Italia si deve al turismo interno e al nostro appeal in Europa. Ma non dobbiamo dimenticare come alcuni fattori esterni ci abbiano aiutato, e allo stesso tempo danneggiato. Basti pensare all’overturismo (eccesso di turisti su alcune destinazioni). Ed è da verificare la corrispondenza tra aumento di flussi turistici e aumento del fatturato. Domandiamoci allora: abbiamo un sistema d’offerta e di servizi in grado di gestire i flussi ed evitare impatti negativi? Perché non abbiamo ancora una vera destagionalizzazione? Sappiamo che questa non si fa con il territorio, ma con il prodotto e le esperienze turistiche, ma su questo abbiamo ancora molte debolezze.
Mentre noi gongoliamo, i nostri competitor avanzano. Paesi come Spagna, Francia, Austria e Malta hanno attuato strategie mirate verso quei segmenti di mercato che permettono di incrementare il reddito economico ed evitare l’overturismo; puntano ad attirare il cosiddetto turista cosmopolita destagionalizzando e potenziando il turismo esperienziale. E noi? Napoli, Milano e Firenze hanno visto degli aumenti, ma Roma non riesce a decollare. Va bene il turismo dei cammini e dei borghi, ma non basta per consolidare un sistema nazionale competitivo. Il Piano strategico del turismo 2017-2020 (Pst) fornisce delle linee, ma manca l’operatività. Il nostro incoming è debole; la nostra offerta ricettiva è assolutamente dipendente dalle Ota (Online travel agencies) e, per quanto riguarda il digitale e la costruzione della reputazione online, non abbiamo ancora colto tutte le opportunità che ci vengono offerte.
Per approfittare di questo momento favorevole bisogna in primis accrescere la competitività dei prodotti turistici e ottenere una maggiore produttività. L’efficienza, soprattutto nell’ambito del prodotto, del marketing e della commercializzazione passa per le reti d’imprese fondate sul legame e sull’identificazione non con un territorio, ma con uno specifico prodotto turistico. Il mercato domanda prodotti ed esperienze turistiche, e perché questi siano veri e fruibili è necessaria l’integrazione fra vari operatori. Se vogliamo attrarre il potenziale turista, è necessario un presidio dei mercati, soprattutto digitali, facendo leva su fattori motivazionali.
Abbiamo poi bisogno di una governance operativa ed efficiente: la maggior parte delle Regioni italiane opera ancora secondo vecchie logiche, peccato che il mercato sia già da un’altra parte. Governare il turismo non è solo governare la crescita, ma avanzare dal modello di turismo territoriale al modello motivazionale e di prodotto. La collaborazione pubblico-privata delle Dmo (Destination management organization) è necessaria, come lo è passare dagli attuali modelli burocratici a soggetti che facciano promo-commercializzazione e marketing in ottica di mercato.
In Italia siamo abituati ad aspettare che arrivino i turisti, quando oggi è necessario cercarli, convincerli e sedurli. Su questo piano, anche l’Enit deve migliorare e soprattutto guadagnare autorevolezza nel sistema delle imprese: il turismo italiano necessita di una vera leadership. Non è solo questione di budget ma di visione, operatività e coordinamento, e i nostri competitor lo sanno.
L’autore è fondatore della società di consulenza FTourism
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