Il valore del tempo: dialogo fra Giorgio Armani e Michel Parmigiani
Creatività, nell'esatta proporzione. Artigianalità, esercitata al microscopio. Come nasce un orologio che misura, nell'infinitamente piccolo, il ritmo dell'eleganza.
di Luca Bruni
8' di lettura
Ci sono dettagli così infinitesimali da sfuggire allo sguardo, ma non alla perfezione della sintesi. Nell'alta orologeria, dove artigianalità e fatto a mano si esercitano al microscopio, la cura è arte del minuscolo che si tende fino a contenere il movimento perpetuo. Si tratta di catturare l'infinito scorrere del tempo in uno spazio millimetrico: c'è di che provare una vertigine di onnipotenza a tenere nelle proprie dita, con pochi strumenti - monocoli, pinzette, cacciaviti - la potenzialità pura. Nata dalla collaborazione con la maison svizzera Parmigiani Fleurier, la nuova collezione di segnatempo firmati Giorgio Armani in edizione numerata, con fase lunare e movimento automatico, è pensata per il polso femminile e maschile. Il nome 11 è un omaggio al civico di via Borgonuovo, eppure è proprio la sua specularità, quella ripetizione dell'identico, coppia e numero primo, che ci suggerisce l'azzardo di un'intervista doppia. Un faccia a faccia fra Giorgio Armani, per cui l'attenzione è da sempre una scelta di stile, e Michel Parmigiani, per cui la precisione è un esercizio di equilibrio.
Festina lente, cogli l’attimo… Qual è il suo modo d’intendere il tempo?
GIORGIO ARMANI: «Non sono mai stato un pigro o un procrastinatore, piuttosto un uomo concreto che fa, anche se mai d'impulso. Il tempo fugge, e in un soffio è passato un decennio. Però negli anni ho imparato a gestirlo, il tempo; a portarlo dalla mia parte, a sfruttare ogni istante nella maniera migliore. Il tempo ci domina e quel che possiamo fare è accompagnarlo, farlo nostro, non farci travolgere».
Per un orologiaio il tempo è una risorsa o una sfida?
MICHEL PARMIGIANI: «Per me il tempo è relativo. È immateriale, ma diventa concreto grazie a ciò che ne facciamo di giorno in giorno, con la nostra vita, i nostri bisogni, i nostri desideri. A volte sembra eterno, a volte troppo breve. Per me è un alleato e un antagonista, è la mia sfida».
Ricorda qual è stato il primo orologio che ha indossato?
GIORGIO ARMANI: «Un classico della cultura italiana: l'orologio che mi fu regalato per la prima comunione, sottile e discreto come usava all'epoca. Un vero imprinting estetico. Da allora li colleziono con gioia e appagamento. Un orologio può raccontare molte storie: spesso lo si riceve in dono, o lo si acquista per sé, per segnare un'occasione. Io ho il vezzo di cambiarlo spesso, a seconda dell'umore: un gesto semplice, che mi dà ogni volta una sensazione forte di una nuova partenza».
E il primo che ha disegnato?
MICHEL PARMIGIANI: «Partirei anch'io dal primo che ho indossato: un automatico in acciaio che mi avevano regalato i miei genitori, realizzato a Fleurier. Credo abbia aperto una strada dentro di me, senza che neanche me ne rendessi conto».
Nella numerologia, 11 è il numero maestro, nella Cabala corrisponde alla realizzazione, nei tarocchi è la Forza e la Giustizia. Nella Bibbia 11 sono le stelle che compaiono nel sogno di Giuseppe…
MICHEL PARMIGIANI: «Non ho un legame particolare con questo numero. L'11 è per Giorgio Armani ciò che il 2, il 12 o il 1950 potrebbero essere per me. Ci identifichiamo con certi numeri, con ciò che evocano in noi. Senza saperlo, alcuni di essi sono presenti nel corso di tutta la nostra vita, ma sono diversi per ogni persona».
“11” è l’indirizzo di Borgonuovo ed è il nome di un orologio che condensa - miniaturizzandola - l’identità e i codici dello stile Armani .
GIORGIO ARMANI: «Condensa quello che per me è più importante: un'eleganza discreta, una preziosità non ostentata. E poi il senso di accuratezza assoluta, altro valore fondamentale: qui si concretizza nella precisione del taglio e del meccanismo inserito. In sintesi, cattura la mia idea di modernità, che è sempre equilibrata, armonica, e per questo implicitamente già classica».
Si può essere classici e innovativi?
MICHEL PARMIGIANI: «C'è sempre spazio per la creatività nella giusta proporzione. L'innovazione è una componente dell'orologeria, ma non l'unica. Che si esprima nel design, nell'evoluzione tecnica, meccanica, industriale o ambientale, l'innovazione è anche la nostra capacità di adattamento. Si può essere insieme classici e innovativi, è una questione di equilibrio. Mia madre era una sarta, realizzava abiti su misura maschili e femminili e mi ripeteva: “Michel, guarda la cucitura!”. Questa frase mi colpisce per la sua ovvietà: c'è modo e modo di cucire. Ogni oggetto è diverso proprio per la somma dei suoi dettagli, anche i più sottili, anche per un semplice filo»
Cinque varianti, tre diversi materiali: un consiglio per indossarli perfettamente per lui e per lei.
GIORGIO ARMANI: «Posso dire di condividere a pieno il pensiero di Coco Chanel: guardandosi allo specchio prima di uscire, è sempre meglio togliere qualcosa. A un uomo direi di indossare l'orologio e basta: non amo l'eccessiva decorazione, concedo al massimo un anello. A una donna direi di portarlo da solo, o mescolato a pochi raffi nati gioielli. Occorre ricordare che l'orologio rappresenta un segno, un dettaglio che veste il polso e completa la propria immagine. Per questo bisogna sceglierlo con cura».
Se c’è un mondo in cui la distinzione maschile/femminile permane, anche per questioni di peso e di dimensioni, è quello dell’orologeria. Questa creazione nasce invece per adattarsi al polso sia della donna sia dell’uomo.
MICHEL PARMIGIANI: «Un orologio è come un pezzo di haute couture: diventa ciò che si vuole che sia, sempre nei limiti di ciò che è meccanicamente e tecnicamente fattibile. Questo approccio unisex ci apre a un'armonia universale; l'eleganza non è una questione di genere, ma di gusto».
Le principali fonti di ispirazione per la definizione dell’estetica.
GIORGIO ARMANI: «Nel mio lavoro è sempre fondamentale la funzione e la comodità, da qui discende la volontà di distillarla nell'oggetto nel modo più lineare e preciso possibile. Mi piacciono gli anni Trenta e Quaranta, e guardando Giorgio Armani 11 se ne respira l'atmosfera. Il design è pulito, leggero, con un meccanismo svizzero, esaltato dalla scelta di materiali speciali e preziosi. Ed è per questo che ho scelto di lavorare, per costruirlo, con Parmigiani Fleurier».
MICHEL PARMIGIANI: «Il lavoro di scambio tra le due maison è il fulcro. Questo è un orologio Armani con la meccanica e il know-how di Parmigiani Fleurier. Il desiderio era quello di far emergere il meglio di entrambi».
Quante ore di lavoro richiede ogni singolo modello?
MICHEL PARMIGIANI: «Il numero di ore non è l'aspetto più importante. Un orologio può essere realizzato in pochi mesi come in alcuni anni, tutto dipende da quel che si vuole ottenere. Qui ciò che conta è l'alchimia di due case diverse nella loro arte, ma identiche nelle esigenze. Un lavoro di scambio, meticolosità e cura del dettaglio».
GIORGIO ARMANI: «Il mutamento continuo della moda rimane in superficie, ma tutto ciò che ha sostanza non invecchia. Definirei questo orologio un classico, a modo mio: un oggetto di design immaginato per diventare un oggetto di aff ezione; un pezzo che, spero, sarà passato da una generazione all'altra. La cultura dell'usa e getta non mi è mai appartenuta, men che meno in questi ultimi anni».
Proprio il Victoria and Albert Museum ha ospitato recentemente la mostra R for Repair, che ha sviluppato il concett o ecologico della durata, dal kintsugi all’upcycling.
GIORGIO ARMANI: «L'idea del recupero, del riutilizzo, della conservazione è connaturata in me. Appartengo a una generazione che ha vissuto i rigori della guerra, che è stata educata così. Sono principi sani, al di là delle contingenze e delle emergenze, perché penso che la storia abbia valore proprio nel tramandarsi le cose, che siano oggetti, idee o il nostro patrimonio storico artistico. Trovo anche, però, che in alcuni casi l'upcycling abbia un che di folkloristico: meglio una giacca che dura, così com'è. Ben venga, invece, il recupero dei tessili, che ha un impatto vero su tutta la catena, o il recupero delle scenografie delle sfilate per evitare sprechi: cose che faccio già, e che ho sempre fatto».
Oltre che un orologiaio, Parmigiani è anche un restauratore…
MICHEL PARMIGIANI: «Quando ho iniziato il mio lavoro di restauratore, avevo in mente una sola idea: restituire all'oggetto la sua originalità, la sua vera natura. Non si trattava solo di riparare, ma di rispettare la sua anima, la sua identità e il suo creatore. Mi consideravo, da questo punto di vista, un archeologo dell'orologeria. Si tratta di due professioni diverse, ma simili nell'obiettivo di restituzione e conservazione. Rendere il meccanismo durevole e, restaurandolo, contribuire con umiltà ad aiutare un oggetto a superare le prove del tempo e dell'uomo».
Quali sono le doti necessarie per lavorare in questo campo?
MICHEL PARMIGIANI: «Il mio è un lavoro di pazienza, perseveranza ed empatia. È l'esplorazione dell'infinitamente piccolo. Ogni cosa ha il suo posto e svolge un ruolo. L'orologiaio è in comunione con il meccanismo».
La sezione aurea per Armani sono le proporzioni della giacca perfetta. Quella vestibilità destrutturata è diventata un’icona al punto da improntare di sé anche la creazione di un orologio.
GIORGIO ARMANI: «È un fatto di Dna progettuale: sta nell'idea di un oggetto pensato, mi si consenta il gioco di parole, per essere senza tempo, immaginato per durare negli anni. La giacca decostruita esprime la mia idea di eleganza: curata, morbida, silenziosa eppure preziosa. I dettagli rimandano al mio stile, che fonde maschile e femminile. Per questo ho scelto di disegnare un unico modello che vesta perfettamente il polso sia di lui sia di lei».
Per Parmigiani, invece, la proporzione aurea è la serie di Fibonacci, il codice segreto della natura e della bellezza.
MICHEL PARMIGIANI: «Tanti anni fa, sugli scaffali di una biblioteca, mi ha incuriosito un libriccino intitolato Le nombre d’or, pubblicato da Que sais-je? Ero ben lungi dall'immaginare quanto questa scoperta avrebbe segnato la mia vita. Ma non è una coincidenza: quel testo conteneva la spiegazione a tutte le mie domande. La successione di Fibonacci è ovunque e la natura ne è lo specchio. Vi siete mai soffermati a guardare la struttura di un broccolo? Questo semplice ortaggio è un'opera d'arte, c'è una forma di divinità nella sua simmetria. I primi orologi che ho disegnato con il marchio Parmigiani Fleurier, dove il rapporto aureo governava l'intero design, sono Ionica e Toric. La sequenza ha armonizzato tutti i dettagli ed è una costante del mio lavoro».
Il senso della misura è il centro di tutto il percorso creativo. L’alta orologeria potrebbe ampliarsi ulteriormente e diventare un asset strategico dei prossimi anni?
GIORGIO ARMANI: «Il mio legame con il settore, che ho sempre trovato affascinante, non è nuovo. Ho lanciato la linea di orologi Emporio Armani nel lontano 1997, ma oggi con la linea Giorgio Armani 11 ho deciso di compiere un ulteriore passo in avanti, rivolgendomi a un pubblico selezionato, off rendo una linea di preziosi segnatempo che completa l'off erta del marchio Giorgio Armani. Una bella sfida».
A proposito di affinità, Carlo III d’Inghilterra ha un legame con entrambi i brand.
MICHEL PARMIGIANI: «Sì, il Re ha scelto di indossare un modello Parmigiani Fleurier alla sua prima uscita pubblica. Una scelta non nuova, ha il suo Toric da diversi anni. Non so cosa lo abbia attratto, forse il design e la complicazione dell'orologio».
GIORGIO ARMANI: «Ho aderito al Fashion Pact e ne condivido gli obiettivi di sostenibilità. L'impegno verso la Terra è per me un dovere morale inderogabile. Gli eventi pandemici, che abbiamo troppo velocemente dimenticato, ci hanno dimostrato con drammatica evidenza che dovremmo prendercene maggiore cura. L'adesione all'iniziativa del principe del Galles, ora re Carlo III, è solo una delle molte attività che ho intrapreso per cercare di rendere il business più responsabile. La totale sostenibilità di tutta la catena è forse un'utopia, ma io credo nell'impegno e nel duro lavoro per realizzare anche quelli che, di primo acchito, sembrano sogni».
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