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Auto made in China, il vantaggio del rapporto tra qualità e prezzo

di Pier Luigi del Viscovo

2' di lettura

Cinque anni fa l’industria automobilistica cinese esportava auto per un valore appena sopra i 4 miliardi di dollari, con una quota dello 0,6% del commercio mondiale. Lo stesso anno, il 2018, il mercato cinese ne importava per 43 miliardi, pesando il 6%.

Era chiaro che un simile squilibrio non fosse tollerabile per quel Paese che già da tempo si era posizionato come “fabbrica del mondo”. Nel 2021, ultimi dati dell’Observatory of Economic Complexity, emanazione del MIT di Boston, il rapporto di dieci a uno era già diventato di due a uno, con importazioni in lieve crescita a 48 miliardi, a fronte di esportazioni schizzate a 25, con quote import-export a 6,6 e 3,5% rispettivamente. Dati recenti indicano che l’export stia crescendo ancora e con tassi importanti, ma si riferiscono ai volumi che sono quanto mai fuorvianti visto che i prodotti cinesi hanno un posizionamento aggressivo e nelle fasce basse del mercato.

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Al contrario, tedeschi ed europei hanno sempre puntato, per esportare verso la Cina, al segmento premium. Adesso pure nel mercato domestico concentrano l’offerta sui prodotti di valore, con margini elevati, lasciando campo libero alle utilitarie e medie cinesi. Somiglia molto a un arrocco difensivo, seppur dorato, dopo essersi fatti trascinare negli investimenti per l’elettrificazione e aver diminuito quelli sul termico, ancora non si sa bene perché e soprattutto per chi. In proposito, chi immagina che importiamo auto cinesi elettriche sappia che il Dragone ha una cultura commerciale, non ideologica: vendono ciò che il cliente vuole. Lo scorso anno, su oltre 30mila vetture immatricolate da DR, MG e Lynk&co le elettriche erano il 2%.

Oltre che sul prezzo, i cinesi si basano sul design, consapevoli che un’auto per sfondare debba essere bella. Poi potrà avere qualità e blasone, ma prima di tutto deve piacere a colpo d’occhio. Nella storia moderna dell’automobile, dal secondo dopoguerra in poi, questa leva non sempre è stata in cima ai pensieri dei costruttori. Nell’industria dove gli ingegneri hanno contato sempre più del marketing, all’estetica venivano anteposte la tecnologia e la qualità. Pertanto, capitava che proprio le auto migliori fossero poco sexy, almeno in una prima fase. È stato così per le ottime tedesche e poi per le giapponesi e le coreane, prima che si decidessero a investire nei centri stile. Nell’attesa, il mercato ha premiato la qualità dei prodotti, complici anche degli automobilisti molto attenti e competenti su cosa si celasse sotto il cofano. Oggi invece che sempre meno clienti vogliono conoscere il prodotto, oltre quello che gli occhi trasmettono loro, i cinesi hanno buon gioco a puntare sull’estetica.

Poi offrono anche qualità, la cui percezione però è anch’essa soggettiva, come molti altre caratteristiche. Oggi c’è pure una qualità dell’infotainment, l’insieme del software che rende la macchina più fruibile e più connessa. Per un numero crescente di automobilisti, o presunti tali, è questa la qualità più evidente e forse anche più significativa.

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