Il vero lusso contemporaneo? Quello che non si vede. Il percorso di Davide Groppi
La magia più grande è quella di produrre un capolavoro quasi invisibile. Se poi il prodotto è in grado di emettere luce, allora tutto è possibile. Anche che una lampada si possa ascoltare come un cantastorie.
di Cristina D'Antonio
3' di lettura
Gli sarebbe piaciuto saper suonare il piano, invece è diventato un illusionista. Davide Groppi parla spesso delle sue luci come fossero canzoni, «perché dotate di un linguaggio che parla direttamente al cuore», ma intanto promette la più grande delle magie: la lampada (quasi) invisibile. Si chiama Vis à Vis, è una delle novità – quattordici quelle presentate a Euroluce, «un fatto eccezionale, tra scarti e ritorno a casa, linee rette e spirali, intenzionalità e caso» – di questo 2023. Un anno piuttosto speciale, dopo quattro di silenzio e di riflessioni, in cui si festeggia il decennio di TeTaTeT, fortunatissimo debutto tra le portatili a batteria. «È stata la prima a nascere senza il vincolo del cavo elettrico, scelta che influenza moltissimo la nostra produzione». Groppi ne ha una sul comodino: vive in una casa che definisce molto piccola – senza prese vicino al letto –, che mantiene volutamente incompiuta, perché ama tutto ciò che resta in divenire. Intanto, Vis à Vis celebra la sorella maggiore: anche lei ricaricabile, ha in più il tocco del maestro abile nei prodigi della scienza ottica. «Uso il potere della lente: non per ingrandire o rimpicciolire, ma per ingannare la vista». La lampada risulta infatti trasparente: l'occhio coglie soprattutto la qualità del bagliore. «Per me, un valore imprescindibile, da considerare ancora prima della forma che l'avvolge».
Doppio Compasso d'Oro nel 2014 per Nulla e Sampei, menzione d'onore di ADI due anni dopo, Davide Groppi ricorda bene il suo esordio: «Si chiamava Novecento: era il 1985 e io avevo 22 anni. Mi muovevo in un piccolo laboratorio e riciclavo vecchi vetri su supporti metallici: creazioni molto diverse dalle attuali». Oggi definisce la nuova collezione «una serie di voli pindarici, calati in dimensione di concretezza progettuale», in cui la tecnologia ha un solo fine: raccontare una bella storia. Adesso, con il progetto Utopia: «Parto spesso dal nome, a cui collego un'idea alla quale cercare un involucro finale. Però sì: nel mio lavoro la parte semantica è sempre preponderante».
La sua relazione con la luce ha spesso qualcosa di teatrale. È successo con Buio, l'installazione pensata nel 2021 con sei lavori di fantasia, mai entrati in produzione, che rendevano omaggio a personalità da cui prendere esempio, da Ingo Maurer a Yves Klein, passando per John Cage. Succede con Incontroluce, podcast visivo da seguire in cuffia, perché l'esperienza risulti totalmente immersiva. «Sono iniziative che nascono dalla necessità di completare un progetto: per me le lampade sono lettere di un alfabeto ideale, con cui costruire racconti».
Cresciuto e rimasto a Piacenza, «una città di confine, al contempo emiliana e lombarda, crocevia logistico, abbastanza vicina a Milano per avere tutto a disposizione, ma sufficientemente lontana per mantenere la mente intatta», ha imparato molto dal padre. «Lavorava all'Enel, mi ha insegnato a costruire le cose: con poco, fatte bene, senza sprecare. Insieme abbiamo realizzato un telegrafo, un flipper e poi una lampada: la sensazione seduttiva che mi ha regalato quest'ultima non mi ha più lasciato». Ha in mente un quadro – L’impero della luce di Magritte – quando pensa alla relazione tra luminosità naturale e artificiale. «Non ci vedo alcun antagonismo, ma semmai una specie di emanazione: un passaggio cruciale all'ora del tramonto, per costruire la scenografia interna delle nostre case». Indiretta e diffusa, che coglie la capienza dello spazio, non invadente: è la luce che ama avere attorno. Per Davide Groppi, una pennellata chiara: la cura definitiva per farci sembrare tutti belli.
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