Il vero porcetto sardo ora può tornare sulle tavole degli italiani
Dopo lo sblocco dell’embrago sulle carni di maiale a causa della peste suina, durato 11 anni. Il settore suinicolo conta in Sardegna 164mila capi e 12.900 aziende
di Davide Madeddu
2' di lettura
L’embargo durato 11 anni è finito. Il “porcetto sardo” – o anche porceddu o porcheddu, indipendentemente dalle “variabili linguistiche” un simbolo della cucina agropastorale sarda – può tornare nelle tavole oltre Sardegna. Ossia in quelle nazionali ed europee. Dopo il via libera (arrivato da Bruxelles) con cui si annulla il provvedimento varato nel 2011 per contrastare la diffusione della peste suina africana, per gli alimenti che caratterizzano la cucina tipica sarda, si aprono nuovi scenari e nuovi mercati. La fine di una vicenda durata undici anni e che ha avuto pesanti conseguenze nell’economia regionale giacché sono state limitate fortemente le esportazioni dei prodotti locali.
Tutto era iniziato l'11 novembre del 2011 con lo stop, per la Sardegna, all’esportazione di suini vivi o macellati fuori dai propri confini. Una decisione presa per contrastare e debellare la peste suina, comparsa per la prima volta nell'isola nel 1978 probabilmente in seguito all’arrivo di scarti alimentari dalla penisola iberica. Quindi le limitazioni che, come sottolineano gli esponenti della Coldiretti «riguardavano anche la macellazione di suini allevati in Sardegna e la lavorazione delle relative carni, nonché la spedizione delle medesime e dei prodotti dalle stesse ottenuti, verso il restante territorio comunitario».
Vietato quindi anche il porcetto sardo, che si ottiene dalla cottura lenta e allo spiedo su graticole di un maialino da latte di 4 o 5 chili di peso o di venti giorni, aromatizzato con mirto o rosmarino nella fase successiva. Cucina che viene poi arricchita dal sale, oppure dalle gocce di grasso ricavate dal lardo e fatte gocciolare sulla crosta che a fine cottura, e una volta dorata, diventa croccante.
Per la Coldiretti che ha seguito l'intera vicenda – comprese una serie di iniziative volte a contrastare l'avanzare della peste suina e quindi creare le condizioni per far riaprire i mercati ai prodotti della Sardegna – il via libera è «il risultato di anni di lavoro comune di Coldiretti con le pubbliche amministrazioni che occorre proseguire per superare i blocchi ancora presenti per far ripartire un settore che può contare su aziende resilienti e innovative, molte delle quali giovani che nonostante tutto hanno investito con coraggio e creduto nel settore e oggi rappresentano un esempio virtuoso di allevamento in biosicurezza».
Un settore che, secondo le elaborazioni della Coldiretti sui dati della Banca Dati Nazionale dell’Anagrafe Zootecnica, conta 164mila capi e 12.900 aziende e vede la Sardegna come la terza Regione per numero di allevamenti e settima per numero di capi.
Con il nuovo provvedimento si aprono nuovi scenari per le esportazioni dei prodotti locali derivanti dalla lavorazione dei suini. Un esperimento positivo che potrebbe fare da apripista nel contesto nazionale, come auspicato dal presidente di Assica (l’associazione industriali delle carni e dei salumi) Ruggero Lenti: «Mi auguro che i buoni risultati ottenuti in Sardegna siano replicabili quanto prima anche nell'Italia continentale ed invito le nostre Autorità sanitarie ma soprattutto politiche a proferire il massimo sforzo per raggiungere l'obiettivo di una completa eradicazione della Psa sul nostro territorio».
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