Il viaggiatore capovolto
L'Asia raccontata da Carlo Pizzati nel suo “La tigre e il drone” non è più un continente emergente, non è più il mondo come potrebbe essere, ma è il mondo com'è già, con la sua velocità estrema e le sue contraddizioni. Al punto che uno sguardo benevolmente comprensivo è semmai da rivolgere a un Occidente che si sente assai più centrale di quanto in realtà non sia più
di Giacomo Giossi
3' di lettura
Carlo Pizzati è uno scrittore ed è stato un inviato in giro per il mondo per conto di vari quotidiani e giornali, dal Messico agli Stati Uniti fino all'India, dove tutt'ora risiede da oltre dieci anni. Pizzati nella scrittura come nell'indole, ha maturato la lezione dei grandi inviati. In lui non c'è cinismo, non c'è sicurezza, ma ci sono sorpresa e stupore. Nei suoi pezzi traspare una forma sottile e acuta di felicità nell'incontro come nell'imprevisto. Il che sarebbe in teoria la base, l'essenza per uno scrittore o per lo meno per un inviato, ma oggi pare che questo sia considerato quasi un elemento elitario e marginale della scrittura.
La tigre e il drone, da pochi giorni in libreria, conferma come Carlo Pizzati sia invece di quella razza di scrittori, evidentemente in via d'estinzione, che sono capaci di viaggiare, incontrare e conoscere oltre gli ambiti ristretti di una sudata nevrosi intellettuale. Il suo saggio entra nel corpo dell'India (o, meglio, del mondo asiatico) in ogni sua piega, vivendone le contraddizioni con sguardo curioso e mente leggera. Pizzati sembra quasi abbandonare la pesantezza – quella delle responsabilità pregresse come delle colpe passate e dimenticate – verso quel mondo da cui lui stesso proviene e che tanto si vanta, sempre più stupidamente, di definirsi occidentale.
Per certi versi, Pizzati percorre città e territori come un viaggiatore ottocentesco, ma con uno approccio capovolto che riserva in verità uno sguardo di benevolenza non ai luoghi a cui va incontro, ma ai luoghi di appartenenza che ancora oggi, nonostante la rivoluzione economica, tecnologica e sociale in corso, reputano se stessi insensatamente centrali e rilevanti più di quanto ormai in realtà siano. Il mondo asiatico e l'India in particolare diventano così l'occasione di una scoperta e, al tempo stesso, di una riscoperta dei nostri pregiudizi che strappano un sorriso comprensivo verso un vecchio mondo che pare voglia ancorarsi alle proprie perdute certezze anche quando queste certificano colpe sanguinose e pregiudizi terribili.
Alternando incontri privati a occasioni pubbliche, momenti di vita quotidiana a impegni di lavoro, La tigre e il drone racconta prima di ogni altra cosa la nostra inadeguatezza fatta di parole dimenticate o di cui non sappiamo più riconoscere il significato. Pizzati costruisce una vera e propria semantica del nuovo mondo, che è nuovo per davvero e che è quindi libero da quelle briglie e da quelle lenti che pervicacemente insistiamo ad applicargli per renderlo – o almeno così noi crediamo – in qualche modo riconoscibile, con l'unico risultato, invece, di farne una parodia.
Il saggio si muove libero tra le dinamiche sociali e storiche che attraversano il continente indiano e che, in qualche modo, rappresentano ormai buona parte di quello che avviene nel mondo, dai movimenti per i diritti e l'emancipazione delle donne fino al cambiamento climatico. Non più un continente emergente, non più un mondo altro e a tratti esotico, non più il mondo come potrebbe essere, ma il mondo com'è con la sua velocità estrema e le sue contraddizioni spesso fuori controllo.
In un'epoca di parzialità e d'incapacità di fotografare la globalità della società, se non facendo ricorso alla banalità di far riferimento a una “complessità” di cui non ci si sforza neppure di provare a spiegare la natura, Pizzati utilizza invece tutti gli strumenti della scrittura, alternando con rara abilità il trattato sociologico, con il romanzo d'avventura, la narrazione minimalista con il puro racconto di cronaca. Il risultato è un libro vivissimo degno della tradizione del new journalism, che al movimento della scena oppone il momento della macchina che si fa mente viva.
La tigre e il drone contiene al suo interno multipli libri, e molti altri se ne possono intravedere sullo sfondo, aderendo così al racconto di un mondo e di un tempo prismatico e complesso dentro al quale è meraviglioso tuffarsi per lottare con le rapide di un corso imprevedibile come per abbandonarsi al largo di una riva troppo rassicurante.
Chiude il libro il ritorno sulle orme di Goffredo Parise, che fu nel Novecento italiano lo scrittore viaggiatore per eccellenza (l'unico tra i nostri con il coraggio di invitare a ballare Marilyn Monroe…). Il terreno, in questo caso, è il Giappone in un rimbalzo tra l'oggi e il 1980, tra le certezze ingenue di Parise e i lampi di uno sguardo che, così come quello di Pizzati, pareva essere in grado di dare continuità a un orizzonte in perfetto equilibrio tra Vicenza e Tokyo. La scoperta di un vero e proprio teatro del mondo.
Carlo Pizzati
La tigre e il drone. Il continente indiano tra divinità e robot, rivoluzioni e crisi climatiche
Marsilio 2020,
441 pagine,
20 euro
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