Il viaggio dell’umanità ad Unlimited
Nella sezione di Art Basel dedicata alle grandi installazioni artisti provenienti da ogni parte del globo affrontano le questioni più scottanti dell'umanità
di Silvia Anna Barrilà
3' di lettura
La prima monumentale immagine che ha accolto i collezionisti e i vip arrivati lunedì da tutto il mondo per l'edizione 2023 di Art Basel a Basilea (15-18 giugno) li ha subito posti di fronte alla preoccupante realtà che stiamo vivendo: è il video di un'imbarcazione in fiamme in mezzo al mare, che si avvicina inesorabilmente allo spettatore rivelando mano a mano la presenza dell'artista algerino Adel Abdessemed, stoico e composto sul ponte della nave nonostante l'incendio alle sue spalle. Un'opera (presentata nella sezione Unlimited dall'italiana Galleria Continua, che in stand ha venduto un altro lavoro dell'artista, “Tortue” del 2015, a 320mila euro) che si impone come lo specchio di un pianeta che brucia sotto tutti i punti di vista: ambientale, politico, sociale, economico e afferma il ruolo quanto mai attuale dell'artista come interprete del presente.
Le grandi questioni dell'umanità sono al centro di molte delle 76 opere esposte nella sezione Unlimited, che quest'anno è tornata ad una dimensione più installativa e spettacolare – a tratti fin troppo – dopo gli anni della pandemia. Tante le opere basate sull'interazione con lo spettatore, sulla luce, il neon e la percezione. Curiosamente il tema della barca ritorna in altre opere esposte nella sezione: nel dipinto “The Ship of Fools” della cinese Yu Hong è metafora della distruzione ambientale e di un mondo che sta affondando mentre un gruppo di bambini cercano di restare a galla. In “Horizons” di Jean-Marie Appriou, giovane artista francese cresciuto sulle coste oceaniche della Bretagna, già rappresentato da ben cinque gallerie tra cui Massimo De Carlo, Perrotin ed Eva Presenhuber, è un vascello in alluminio che richiama quadri storici da Delacroix a Böcklin, navigato da due “astronauti” fuori dal tempo.
Opere radicali
“Unlimited si conferma come uno spazio in cui l'arte dispiega il suo potere sociale” ha commentato il curatore della sezione e direttore della Kunst Halle St. Gallen Giovanni Carmine, “ciò che accomuna molte opere è la critica al potere da parte dell'artista”. Per esempio, nell'opera di Adam Pendleton, che decostruisce il monumento a Robert E. Lee attorno al quale si sono concentrate le proteste per la morte di George Floyd, o in quella di Lubaina Himid del 1986, “A Fashionable Marriage”, che esprime la critica dell'artista al razzismo e maschilismo del mondo dell'arte. “Ci sono opere radicali” ha commentato il curatore italiano Andrea Lissoni, direttore della Haus der Kunst di Monaco, “come ‘Evening' di Stan Douglas, uno dei suoi primi lavori sull'informazione, risalente agli anni 90, ma oggi attuale più di prima; oppure ‘News from Nowhere: Eclipse' dei coreani Moon Kyungwon e Jeon Joonho. Un lavoro molto sofisticato è quello recente di Christian Marclay sull'idea di soglia, sulla quale l'artista stesso si trova. Peccato che in generale ci sia poca America Latina, probabilmente per lo sforzo economico richiesto alle gallerie per partecipare”.
Le vendite di Unlimited
Grande attesa per l'esposizione della prima scultura di Gerhard Richter ispirata ai suoi “Strip Paintings” (2011-15), che estende nello spazio la sua ricerca sul colore. L'opera, presentata da David Zwirner, che lo rappresenta dallo scorso dicembre dopo l'addio a Marian Goodman, è stata venduta subito per 2,5 milioni di dollari (altre cinque opere su carta sono state vendute in stand a 120mila dollari l'una). Un altro grido di protesta è “Our Leader” di Barbara Kruger, che trasporta il suo linguaggio artistico basato sull'associazione di figure e parole nella dimensione dell'immagine in movimento ed è stata venduta dallo stesso David Zwirner insieme a Sprüth Magers per 1,3 milioni di dollari.
Gli italiani in un mondo globale
Accanto a questi nomi noti, ci sono artisti emergenti o mid-career provenienti da paesi a lungo esclusi dall'attenzione del mondo dell'arte. Oggi sono loro a raccontare la loro identità ed eredità culturale, come la caraibica Firelei Báez, classe 1981, di origini domenicane e haitiane (da James Cohan il suo dipinto “A taxonomy for tenderness” è stato venduto ad una fondazione privata mediorientale a 350.000 $), oppure l'etiope Elias Sime con un grande assemblaggio di componenti elettronici che parla del rapporto tra uomo e tecnologia (altre due sue opere sono state vendute a due musei americani a 200.000 e 250.000 dollari). Su questo palcoscenico dell'arte globale l'arte italiana continua ad essere rappresentata dall'Arte Povera: Giuseppe Penone è in mostra con un'opera della serie delle spine presentata da Gagosian, mentre di Giovanni Anselmo c'è l'installazione “Mentre il colore solleva la pietra, la pietra solleva il colore” del 1984, carica di tutta la tensione tipica della sua opera (presentata da Lia Rumma). Oltre a loro c'è solo Monica Bonvicini, artista già molto nota di base a Berlino, con un'installazione architettonica che invita lo spettatore all'interazione e alla riflessione sul comportamento nello spazio.
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