Il virus «accorcia» la vita degli italiani: Lombardia ai livelli di 15 anni fa
Persi fino a cinque anni di «aspettativa» a Cremona e Lodi, dove si torna agli stessi valori registrati nel 2005. Più colpiti gli uomini. Un trend confermato anche dall’ultimo rapporto Bes 2020 di Istat
di Michela Finizio
4' di lettura
La vita in Italia sarà più breve di un anno per le donne, di quasi un anno e mezzo per gli uomini. A Cremona, Lodi e Bergamo, le province più colpite dal Covid-19 nel 2020, si accorcia di quasi 5 anni. Tanto da riportare i cittadini lombardi in media indietro di quindici anni, quando l’aspettativa di vita si fermava sotto i 79 anni per gli uomini e 84 per le donne, contro gli 81,5 e 86 anni rilevati nel 2019.
Si misura anche così l’impatto demografico della pandemia, sulla speranza di vita alla nascita degli italiani: l’indicatore elaborato del centro studi Nebo per il Sole 24 Ore è stato calcolato utilizzando i dati attualmente disponibili sul 2020 e messo a confronto con quelli consolidati dell’anno precedente. Una stima resa possibile grazie ai dati sulla popolazione residente al 1° gennaio, ai bilanci demografici di Istat attualmente disponibili (ipotizzando per dicembre 2021 una natalità pari a quella di novembre) e ai dati sulla mortalità, aggiornati dall’istituto proprio venerdì scorso fino a dicembre.
Il trend è stato confermato anche da Istat con i dati diffusi nell’ultimo rapporto Bes 2020. Secondo le elaborazioni Istat la pandemia ha cancellato in un solo anno i progressi fatti negli ultimi dieci sul fronte della tutela della salute, provocando una riduzione della speranza di vita alla nascita a 82 anni e tre mesi nella media nazionale, con cali ancor più marcati al Nord e in Lombardia.
Si torna indietro ai livelli di benessere del 2005
È come se il calo delle nascite e l’eccesso di mortalità del 2020 (+21% rispetto alla media 2015-2019 tra marzo e dicembre, pari a 108.178 decessi) avessero bruscamente ridotto l’orizzonte di vita degli italiani, riportando indietro nel tempo la durata media stimata alla nascita, agli stessi livelli registrati nel 2012 se si guarda alla media nazionale, oppure a quelli del 2005 per le donne in Lombardia.
Il trend è stato rilevato anche da Istat, in alcune proiezioni diffuse dal presidente Gian Carlo Blangiardo, quando ancora gli effetti della seconda ondata di contagi non si potevano stimare. Gli anni “persi” poi sono stati ricordati anche dal premier Mario Draghi, nel suo discorso di insediamento al Senato: «L’aspettativa di vita a causa della pandemia è diminuita, fino a 4 o 5 anni nelle zone di maggior contagio. Un calo simile non si registrava dai tempi delle guerre mondiali».
Il crollo in un lasso di tempo così breve non ha precedenti nella storia recente del nostro paese. Accadde solo durante i periodi bellici: durante la prima guerra mondiale la speranza di vita praticamente si dimezzò; con la seconda guerra mondiale il calo fu di circa 10 anni.
Per il resto l’indicatore risulta in costante crescita, grazie al calo della mortalità infantile e alle migliori condizioni di vita osservabili, anche nella traiettoria di vita delle nuove generazioni. Le uniche temporanee eccezioni risalgono a circostanze stagionali eccezionali, nel 2003 (anno della canicola estiva) e nel 2015, quando a un inverno particolarmente rigido, con un’epidemia influenzale severa, seguì un’estate molto calda.
I dati del Centro Studi Nebo: colpiti di più gli uomini
Tornando all'elaborazione del centro studi Nebo, nel 2020 la riduzione della speranza di vita è generalizzata in tutto il Paese, arrivando a sfiorare in media in Lombardia i tre anni “persi” per i maschi (2,7) e i 2,1 per le femmine. Più penalizzati - ovunque sul territorio nazionale - gli uomini, che finora da un punto di vista sanitario hanno subito le conseguenze peggiori dell’infezione da Covid-19: per loro la vita si accorcia di tre anni anche a Piacenza e Parma, di circa due e mezzo ad Alessandria e Vercelli. Nel Mezzogiorno, invece, il trend si accentua soprattutto a Foggia e Crotone (che perdono rispettivamente 2,4 e 2,2 anni), ma anche a Caserta, Napoli, Avellino, Enna e Siracusa: in queste province del Sud si stima una speranza di vita per il 2020 tra le più basse, inferiore ai 79 anni.
Per quanto riguarda le province di grandi città, la più colpita è Milano dove i maschi perdono 2,5 anni di vita (1,8 anni le donne), tornando all’orizzonte dei 79 anni e mezzo che veniva calcolato nel 2009, cioè undici anni fa. Seguono Genova e Torino, per poi passare a Napoli e Palermo, mentre tutte le altre metropoli hanno dati migliori rispetto alla media nazionale.
L’impatto degli anni persi sulla vita reale
La speranza di vita comincia a “parlare” quando si cala la statistica nella realtà: il parametro viene spesso utilizzato per l’attuazione delle politiche di welfare e in questi casi le differenze territoriali, insieme a quelle per condizione socio-economica, non possono essere ignorate, se non si vogliono tradurre in disuguaglianze. Alla speranza di vita è agganciata la determinazione dell’età pensionabile, così come le stime sull’andamento della spesa sanitaria pubblica e sui fabbisogni di assistenza sociale.
Ora, per capire se il tracollo demografico (sintetizzato dalla speranza di vita) verrà riassorbito una volta finita la pandemia, bisogna aspettare di conoscere l’impatto reale della mortalità nel lungo periodo. Resta difficile immaginare, comunque, che si riesca a invertire il progressivo invecchiamento della popolazione finché prosegue l’andamento negativo della natalità: i nuovi nati nel 2020 potrebbero scendere per la prima volta sotto le 400mila unità e sugli ultimi mesi dell’anno pesano i primi effetti della pandemia. Si legge in una recente nota Istat: «È verosimile immaginare che, così come accadde nel 1987 (a fronte di un calo nei concepimenti riferibile al maggio precedente post disastro di Chernobyl, ndr), anche in questa circostanza ci siano stati frequenti rinvii nelle scelte riproduttive».
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