Il “welfare familiare” vale 109 miliardi, il 6,5% del Pil
di Claudio Tucci
2' di lettura
Si chiama “welfare familiare”; e oggi rappresenta una vera e propria “industria” che vale 109,3 miliardi di euro, pari al 6,5% del Pil. Per le famiglie è ormai la terza voce di spesa dopo quelle per alimentari e casa. Ma nel Belpaese permangono tutt'ora grandi squilibri: crisi e difficoltà economiche stanno determinando infatti “estesi fenomeni di rinuncia” alle prestazioni. Spesso anche di livello essenziale, come per esempio cure sanitarie e assistenza ad anziani e a persone non autosufficienti.
Mercato in evoluzione
La prima edizione dell'Osservatorio sul bilancio di welfare delle famiglie italiane, presentato alla Camera, dalla società di consulenza aziendale Mbs Consulting mostra un fenomeno con luci e ombre: il welfare familiare è ormai un settore importante del nostro sistema produttivo. «È tuttavia un mercato in evoluzione. È necessario superare le frammentazioni - ha evidenziato Andrea Rapaccini, presidente di Mbs Consulting - e aiutare i soggetti pubblici e privati a costruire reti e filiere».
La spesa familiare per il welfare assorbe il 14,&% del reddito
In media la spesa familiare per il welfare assorbe il 14,6% del reddito netto. In pratica, su circa 30mila euro le uscite per il welfare sono 4.328 euro a nucleo. Le zone d'ombra, però, sono diverse: il 36,1% delle famiglie rinuncia ad almeno una prestazione essenziale, la percentuale sale al 56,5% per chi si trova in condizione di debolezza economica.
Il settore più critico è quello dell'assistenza agli anziani e ai non autosufficienti, con un tasso medio del 76,2%. La rinuncia a cure sanitarie è mediamente del 36,7% e sale al 58,9% per la fascia più debole. La rinuncia nei servizi per la cura dei figli è mediamente del 41,1% e per i meno abbienti del 54,8%, mentre nell'istruzione è rispettivamente del 35,4% e del 57,7%. Le famiglie rinunciano anche a spese per la cultura e il tempo libero: in media il 33,8% e nel segmento più debole il 50,5 per cento.
Verso nuovi modelli di sussidiarietà
Ciò si deve al fatto che i sistemi pubblici di welfare hanno subito negli ultimi anni una forte riduzione delle capacità di prestazione, come conseguenza del necessario contenimento della spesa pubblica. Il risultato è che molte prestazioni essenziali sono ottenibili solo a pagamento. Gli impatti sociali di questo problema sono pesanti e generalizzati in tutte le aree del welfare.
«Nel momento in cui il paese sta lanciando nuove politiche di contrasto alla povertà – ha sottolineato Enea Dallaglio, ad di Innovation Team - Gruppo MBS - i dati dell'Osservatorio fanno pensare che sia più efficace intervenire garantendo i servizi essenziali per il benessere e la sicurezza sociale anziché erogare sussidi. Emerge inoltre la necessità di affrontare in modo nuovo la prospettiva di contenimento della spesa pubblica, rifocalizzando la spesa sulle prestazioni essenziali e definendo le aree su cui sollecitare il ruolo dei servizi privati».
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