Il whisky parla (sempre di più) anche italiano
La distilleria vicentina Poli lancia sul mercato Segretario di Stato: non è l'unica in Italia ma la sua fama certifica un fenomeno appena nato ma con interessanti possibilità di sviluppo
di Maurizio Maestrelli
3' di lettura
In un mercato dinamico e scandito quasi quotidianamente dall'ingresso sulla scena di nuovi prodotti, la presentazione di un distillato non ha sempre i requisiti della notizia. Ma nel caso del primo whisky di malto della vicentina Distillerie Poli, al debutto con la stampa qualche giorno fa, la questione è diversa. Diversa perché si sta parlando di un'azienda storica, le prime grappe le producevano con un alambicco mobile ovvero su ruote nel 1898, rimasta fino a oggi e per quattro generazioni nelle mani della stessa famiglia, con una produzione che per quanto cresciuta nel corso dei decenni è sempre rimasta legata a un mondo artigianale: fatto di distillazione discontinua e di vinacce fresche.
E se dei grappaioli storici come i Poli, conosciuti in tutto il mondo (l'export ha ormai raggiunto 62 mercati esteri), si sono cimentati nel distillato simbolo per antonomasia delle lande scozzesi la cosa assume dunque un significato emblematico. Soprattutto perché se Jacopo Poli è una delle firme più prestigiose degli alambicchi italiani, va detto che qualche anno fa in Trentino era già decollata l'avventura di Puni, distilleria start up vocata esclusivamente proprio al whisky e in Lombardia sta muovendo i primi passi Strada Ferrata, anche se al momento è ferma ai new make (distillati di cereali che non hanno ancora raggiunto l'età legale di invecchiamento per potersi chiamare whisky). Ma è solo questione di tempo, così come è questione di tempo per il primo whisky di Sardegna firmato da Silvio Carta, titolare dell'omonima azienda di liquori e distillati che sta facendo maturare in botti ex Vernaccia di Oristano un whisky ottenuto da malto d'orzo fornitogli dal birrificio Ichnusa.
L'ingresso di Poli nel mondo dei whisky è quindi la conferma della nascita di una “via italiana” al più nobile dei distillati. Il loro progetto ha richiesto anni di lavoro: germinato come semplice sogno da accarezzare durante i viaggi in Scozia, affinato attraverso la selezione del malto d'orzo e del lievito più adatto, nella costruzione di un alambicco specifico e infine accesosi in coincidenza con un fatto che ha poco a che vedere con questioni alcoliche o di mercato. La distilleria si trova infatti a Schiavon, cittadina a due passi da Bassano del Grappa, e di Schiavon è anche Pietro Parolin, un sacerdote che è diventato prima cardinale e, nel 2013, segretario di Stato del Vaticano. Il 2013 è anche l'anno della prima distillazione del whisky che, in omaggio al cardinale è stato così chiamato “Segretario di Stato”. Con tanto di autorizzazione della Santa Sede per i prossimi cinque anni.
Maturato in botti separando il distillato da malti torbati e non, ha “vissuto” gli ultimi due anni, dopo il blend, in barrique che hanno precedentemente contenuto Amarone. Tiratura, almeno per qualche anno, limitatissima, appena tremila bottiglie, ma prezzo più che invitante per essere un debutto in società: sui cinquanta euro. Chi lo ha assaggiato lo considera un eccellente risultato e la dimostrazione che si può produrre ottimo whisky anche alle nostre latitudini.
Per gli osservatori del mercato degli spirits invece la conferma che qualcosa si sta muovendo nel mondo degli alambicchi italiani un tempo vocati esclusivamente alla produzione di grappe o di distillati da uve e da frutta. Il fenomeno gin è risaputo, con una progressione da zero a centinaia di etichette tanto rapida quanto sbalorditiva (la stessa Distillerie Poli è passata in pochi anni dal produrre poco più di duemila bottiglie del suo Marconi 46 alla considerevole cifra che si aggira sulle sessantamila), quello del whisky è ancora una novità. Che ha caratteristiche differenti e differenti investimenti e tempi di attesa, ma che ha tutte le carte in regola per diventare prossimamente un'altra certezza nel mondo della distillazione italiana.
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