Illeciti, bullismo e fake news: più difese per gli utenti web
Digital services act. Il regolamento Ue che punta a rendere più sicura la navigazione è già Scattato per 19 big tech: ma dopo un mese resta difficile individuare le novità nelle condizioni di utilizzo
di Valentina Maglione e Valeria Uva
3' di lettura
Le email stanno arrivando in questi giorni, ad esempio da Meta per gli utenti Instagram: cambiano i termini e le condizioni di utilizzo di 19 piattaforme tra le più grandi, comprese – solo per citarne alcune – Amazon, Google, YouTube e, appunto, Instagram. È l’effetto della prima tappa di applicazione del Digital services act (Dsa), il regolamento europeo che insieme con il Digital markets act, punta a proteggere gli utenti di marketplace e social media da fake news, comportamenti illeciti, violenza o pratiche commerciali scorrette.
Vista l’enorme influenza che le “big tech” possono avere sull’informazione, sull’educazione dei minori e su ogni altro aspetto delle nostre vite, il Regolamento europeo vuole rendere più semplice, ad esempio, la segnalazione di contenuti illeciti, la richiesta di rimozione di video violenti o di immagini che incitano all’odio. In altre parole, creare un ambiente più sicuro.
Dal 25 agosto è partito il primo step di applicazione del Dsa, che coinvolge 17 siti e social network oltre a due motori di ricerca (Google e Bing) con un grande numero di utenti; dal 17 febbraio 2024, invece, chiunque opera online dovrà conformarsi al Regolamento. Anche potenziando la trasparenza su come vengono moderati i contenuti dei social o sulla pubblicità e con garanzie rafforzate per i minori (si veda l’articolo a fianco). Imponenti le sanzioni che possono arrivare fino al 6% del fatturato mondiale.
Ma cosa sia cambiato, in concreto, per gli utenti in questo primo mese è difficile dirlo. Nonostante molte piattaforme abbiano allestito apposite pagine per informare gli utenti sull’arrivo del Dsa, orientarsi tra le videate di «Termini e condizioni» a cui rimandano anche le email per segnalare l’aggiornamento è impresa difficile. Un po’ perché, in parte, le piattaforme erano già “allineate”: YouTube, ad esempio, ha dal 2012 un programma per i “ segnalatori attendibili” (enti o persone impegnati nello scandagliare il web alla ricerca di contenuti illeciti). E sia il social dei video che Google Maps, ad esempio, forniscono già alcune informazioni sulla raccolta pubblicitaria che vanno nella direzione della trasparenza richiesta dal Dsa. In più, su altri aspetti i big si limitano a promettere genericamente più impegno e sorveglianza sui contenuti pubblicati senza indicare chiaramente i tempi e le modalità del processo di compliance. «Occorre evitare che l’adeguamento sia più formale che sostanziale e questo dipenderà dall’applicazione concreta e dai controlli che avvierà la commissione europea», sottolinea Giulio Coraggio, avvocato, responsabile del dipartimento di tecnologia di Dla Piper che sull’adeguamento al Dsa ha condotto un primo monitoraggio. «A Bruxelles sono state annunciate più di cento assunzioni per il monitoraggio, quasi quante quelle indicate dal solo Regno unito per la stessa finalità».
Che ci sia bisogno di sicurezza in rete, soprattutto per i minori, lo testimoniano i dati. Secondo l’ultima rilevazione del Sistema di sorveglianza Hbsc Italia, circa il 15% degli adolescenti è stato vittima di cyberbullismo almeno una volta, con percentuali più alte fra le ragazze e fra gli undicenni e che calano con l’aumentare dell’età.
Già dal 2017 (legge 71), ci si può rivolgere al Garante privacy, compilando un modulo online, per chiedere la rimozione dei contenuti offensivi: quest’anno le segnalazioni sono state finora 50. Sempre al Garante si può segnalare il rischio di revenge porn, ossia che contenuti sessualmente espliciti, destinati a restare privati, siano diffusi online: quest’anno le segnalazioni sono state 360.
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