Letteratura

Illusione di una seconda innocenza

di Gino Ruozzi

3' di lettura

Esiste un luogo, un periodo, un incontro della felicità? Un momento di stupore che racchiude il ricordo più bello e che per incantesimo un giorno sembra poter ritornare? Questa è l’illusione che coltivano Olimpia e Ruggero, avviati ai quarant’anni, lui con qualche anno in più di lei.

È ciò che accade quando scoprono al colle Pincio di Roma un gruppo di pattinatori a rotelle, giovani, acrobatici, spettacolari. Olimpia e Ruggero sono degli ex di questo sport, per il quale hanno avuto un passato di passione comune. Ora, domenica dopo domenica, sembrano ritrovare la meraviglia di un tempo, il brivido di un’emozionante seconda innocenza. Guardano i pattinatori e sono catturati da una magia antica, che li aveva ammaliati al tempo della giovinezza e del loro amore. A poco a poco, da spettatori coinvolti ma passivi Olimpia e Ruggero tornano a essere protagonisti, prendono coraggio e scendono in pista. L’incanto iniziale però non si rinnova. Per tante ragioni.

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Olimpia e Ruggero, nomi e destini evocativi che rinviano all’Orlando Furioso di Ariosto, si sono illusi di riguadagnare qualcosa che non hanno più e che forse non può rinascere. La loro vita ora trascorre in una sfuocata routine quotidiana, un po’ estranei l’uno all’altra. Quell’epifania giovanile sembra ridestare una possibilità di vita smarrita, il risveglio di movimenti del corpo e del cuore che si erano bloccati. Quel gruppo di pattinatori ravviva la voglia di fare e di essere, soprattutto il miraggio di fare e di essere insieme, come coppia affettuosa e forse ancora innamorata. Olimpia e Ruggero provano a riscoprirsi nell’ambiente fatato dei pattinatori del Pincio, di quella comunità atletica e a proprio modo mistica che prende il nome di Nostra Signora delle Rotelle.

A intensi ritmi sportivi e musicali i pattinatori volteggiano in figure armoniche e plastiche (l’anfora, l’angelo, il toe-loop, il salchow, il lutz); è una società idillica, composta di campioni narcisi e di volonterosi gregari. Tutto sembra andare nel migliore dei modi e offrire una fuga edenica nel centro di Roma, in un paesaggio intriso di splendide antichità e del traffico congestionato del Muro Torto. Tuttavia l’elegiaca comunità a un certo punto mostra le proprie crepe e vengono in luce le rivalità, le gelosie, gli immancabili desideri e scambi sessuali. Anche Olimpia e Ruggero, vittime del proprio vuoto quotidiano e di una sostanziale divergenza esistenziale, vengono risucchiati nel vortice, lui più di lei. Quel luogo del cuore che sembrava averli fatti incontrare di nuovo nel nome di uno slancio lontano e dei primitivi turbamenti (siglati dal simbolo erotico del «lucidalabbra») è in effetti perduto per sempre e a loro non resta che la quotidiana separazione di azioni e di ideali. In più Ruggero convive ogni giorno col fantasma dei propri quarant’anni, in un balbettante dialogo di sorprese, titubanze, insicurezze.

A tratti le emozioni possono riesplodere, specie quando la congregazione dei pattinatori si scatena con i suoni anni Ottanta di Cars di Gary Numan (1979), di Thriller di Michael Jackson (1982), di I still haven’t found what I’m looking for degli U2 (1987). In questi istanti tutto è perfetto.

Ma la realtà non è così. Quello che sembra essere il fine primario (pattinare) è in verità una maschera, un pretesto per altri scopi: esibirsi, piacere, sedurre, conquistare, dominare. Nonostante sia il più implicato, Ruggero lo capisce e decide di tirarsi fuori. Perché in tutto questo contesto avverte il pericolo mortale di una lama tagliente: «per ogni immagine che si dissolveva, Ruggiero e Olimpia provavano all’unisono qualcosa come una fitta impercettibile alla bocca dello stomaco (ma dicevano bocca dello stomaco tanto per dire, dal momento che sarebbe stato impossibile collocare con esattezza l’azione di quella lama sottile che a ogni nuovo distacco tornava a trapassarli, dolcemente)».

Il romanzo preciso e lucido di Pedullà racconta un ambiente, una coppia, le abitudini paralizzanti di una vita borghese che cerca di ridarsi quel tono e quel movimento che ha smarrito. Olimpia e Ruggero fotografano tutto e la loro unione più vera (e più falsa) è quando a tavola con gli amici condividono le centinaia di foto che hanno scattato e postano ansiosi sui social network. Questo è il movimento noto, sociale e famigliare; l’altro, quello della congregazione di Nostra Signora delle Rotelle, sembra regalare la fantasia di un rinnovato contatto con la vita, che dura qualche tempo e poi si disgrega. La ritrovata episodica unione di Olimpia e di Ruggero tra loro, e di Olimpia e di Ruggero nell’apparente isola felice dei pattinatori, si frantuma. Il decisivo e finale movimento liberatorio di Ruggero è quello di accorgersene in tempo e di concretizzare il proprio timido e necessario “mi oppongo”: egli sceglie di «darci un taglio, senza scalpore. Semplicemente non si farà vedere». È il segno evidente di una sconfitta che un’orgogliosa reazione personale in parte riscatta.

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