Processo Ambiente svenduto

Ilva: il Pm chiede la confisca del sito, più di 20 anni per i Riva e 5 anni per Vendola

In Corte d’Assise la requisitoria del procedimento nato dall’indagine che nel 2012 portò alla chiusura dell’acciaieria

di Domenico Palmiotti

Ilva, raggiunto accordo: Stato al 50%, da 2022 con controllo

4' di lettura

Confisca degli impianti Ilva: è la richiesta che il 17 febbraio il pm Mariano Buccoliero ha avanzato alla Corte d’Assise di Taranto per il processo «Ambiente Svenduto». È il procedimento con 47 imputati, 44 persone fisiche e tre società (Ilva, Riva Forni Elettrici e Riva Fire, quest’ultima divenuta Partecipazioni Industriali in liquidazione) che nasce dal sequestro degli impianti dell’area a caldo a luglio 2012 e mette sott’accusa la gestione del gruppo Riva. Le richieste dell’accusa arrivano a pochissimi giorni dalla sentenza (è del 13 febbraio) con cui il Tar di Lecce ha ordinato lo spegnimento degli impianti dell’area a caldo perché inquinano, confermando così una ordinanza del sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, impugnata da Ilva in amministrazione straordinaria e ArcelorMittal.

La confisca pregiudica l’accordo Invitalia

Del pacchetto di richieste relative alle società, che rispondono di violazione della legge sulla responsabilità amministrativa delle imprese, la confisca degli impianti è la più dura. Anche perché nell’accordo con Invitalia del 10 dicembre 2020, circa l’ingresso dello Stato nel capitale, ArcelorMittal ha subordinato l’acquisto, entro maggio 2022, dei rami di azienda di Ilva dall’amministrazione straordinaria, al superamento di dissequestri e vincoli giudiziari. Per Ilva, inoltre, il pm Buccoliero ha chiesto l’interdizione all’esercizio dell’attività per un anno, con «la sostituzione di tale sanzione interdittiva con la misura del commissariamento giudiziale per un analogo periodo di tempo, individuando i commissari giudiziali negli attuali commissari straordinari di nomina governativa di Ilva in as». Il pm ha infine chiesto, per tutti gli illeciti amministrativi, la confisca per equivalente del profitto illecito di 2 miliardi e 100 milioni «in solido» alle tre società.

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Più di venti anni per i Riva

Richieste pesanti per i due ex proprietari e amministratori della fabbrica: Fabio Riva 28 anni e Nicola Riva 20 anni. Rispondono di associazione finalizzata al disastro ambientale. Altri capi di imputazione nel processo, l’avvelenamento di sostanze alimentari e l’omissione dolosa di cautele in materia di sicurezza sul lavoro. Diciassette anni sono stati invece chiesti per Bruno Ferrante, ex presidente del cda Ilva subentrato a Nicola Riva quando già si intravedeva la tempesta giudiziaria in arrivo col sequestro di luglio 2012. Mentre 28 anni sono stati chiesti per Girolamo Archinà, il dipendente Ilva utilizzato dai Riva per i rapporti con la politica e la pubblica amministrazione. L’uomo degli «affari illeciti dell’azienda agli ordini della proprietà» l’ha definito la pubblica accusa. Per Salvatore Capogrosso, direttore dello stabilimento con i Riva, chiesti invece 28 anni. E richieste pesanti anche per i dirigenti di allora della fabbrica, alcuni dei quali sono adesso con ArcelorMittal, arrivato a novembre 2018 come gestore in fitto. Si tratta di Adolfo Buffo, da poco nominato direttore generale dall’ad Lucia Morselli (20 anni), di Ivan Di Maggio (17 anni), Salvatore De Felice (17 anni), Marco Andelmi (17 anni), Cosimo Giovinazzi (un anno e 3 mesi) e Giuseppe Di Noi (3 anni e 9 mesi). Pene alte per diversi «fiduciar»”. Sono i tecnici di strettissima vicinanza ai Riva («governo occulto e parallelo dello stabilimento», ha detto l’accusa). Erano incaricati di controllare tutto, produzione, impianti, organizzazione, aziende di appalto, ed avevano grandi poteri decisionali. Quattro «fiduciari» hanno una richiesta di 20 anni a testa perché inquadrati come i Riva nell'associazione finalizzata al disastro ambientale. Si tratta di Alfredo Ceriani, Giovanni Rebaioli, Agostino Pastorino ed Enrico Bessone. C’è poi la richiesta (17 anni) per l’ex consulente della Procura, Lorenzo Liberti, accusato di aver rappresentato il falso perché «avvicinato» da Ilva. «È venuto meno all’obbligo e al dovere di verità che aveva, presentando nel 2009 un consulenza falsa che ha prorogato di altri tre anni l’inquinamento, e cioè sino a quando, nel 2012, non è scattato il sequestro», ha evidenziato il pm. Per Giorgio Assennato, ex direttore generale di Arpa Puglia, chiesto infine un anno.

Politici: cinque anni chiesti per Nichi Vendola

Dei politici coinvolti nel processo, ne esce solo l’ex sindaco di Taranto, Ezio Stefàno. Per lui, il pm alla Corte d’Assise (presidente Stefania D'Errico, a latere il giudice Fulvia Misserini), ha chiesto il «non doversi procedere perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione». Non così, invece, per l'attuale assessore regionale pugliese all’Agricoltura, Donato Pentassuglia, del Pd, all’epoca dei fatti presidente della commissione regionale Ambiente (8 mesi) e per l’ex assessore della Regione Puglia e oggi parlamentare di Sinistra Italiana (8 mesi), Nicola Fratoianni. Le pene maggiori chieste per l’ex presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, 5 anni, per l’ex presidente della Provincia di Taranto, Gianni Florido, 4 anni, e per l’ex assessore all’Ambiente della Provincia di Taranto, Michele Conserva, 4 anni. Vendola è accusato di aver fatto pressioni su Arpa Puglia, Agenzia per l’ambiente della Regione Puglia, perché rivedesse la relazione sulla cokeria Ilva. Per i maggiori imputati, il pm Buccoliero (uno dei quattro del processo: Remo Epifani, Raffaele Graziano e Giovanna Cannarile) ha parlato di «condotte pluriennali» e di «violenza inaudita». Secondo il pm, da parte dell’Ilva dei Riva c’è stato «un abbraccio mortale» verso Taranto «stritolando la città». Ora, chiusa la requisitoria che ha occupato nove udienze dall’1 febbraio, spazio a parti civili e difesa. Sentenza attesa prima dell’estate.

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