Ima, laurea ad honorem ad Alberto Vacchi
Il mix di innovazione hi-tech e gestione partecipativa chiave del successo di chi ha portato la multinazionale del packaging alla leadership globale
di Ilaria Vesentini
I punti chiave
3' di lettura
È commosso Alberto Vacchi, presidente e amministratore delegato del gruppo Ima, mentre riceve dalle mani del rettore dell'Alma Mater, Giovanni Molari, il papiro della laurea magistrale ad honorem in Ingegneria gestionale e si avvia al podio per la sua lezione dottorale, nella suggestiva cornice dell'abside di Santa Lucia.
La crescita esponenziale di Ima
Un titolo che la terza generazione alla guida della multinazionale familiare di macchine automatiche - oggi una holding da 1,7 miliardi di fatturato per il 90% esportato in 90 Paesi, con quasi 7mila dipendenti e 53 stabilimenti nel mondo - si è conquistato sul campo, con una laurea in giurisprudenza in tasca e un impegno ininterrotto al timone, prima come amministratore delegato (dal 1996, appena 32enne) poi anche come presidente del Consiglio di amministrazione (dal 2007). Fedele a una ricetta industriale «basata sui pilastri che costituiscono il nostro corso in Ingegneria gestionale», spiega il coordinatore Federico Munari, leggendo le motivazioni della laurea.Orientamento all'innovazione (tecnica, tecnologica e organizzativa) e alla sostenibilità per guidare l'eccellenza manifatturiera; capacità di progettare e gestire la supply chain e le catene del valore trasformandole in fattore strategico di crescita dell'azienda e del territorio; attenzione alla centralità delle risorse umane come motore primario di sviluppo, sia all'interno del gruppo sia nelle relazioni industriali, istituzionali e accademiche virtuose: sono questi i principi che accomunano la teoria affrontata dai 550 studenti dell'Università di Bologna del corso in Ingegneria gestionale e la pratica quotidiana di Alberto Vacchi in 35 anni di lavoro in Ima.
La lezione magistrale
La lectio di Vacchi racconta la storia di questa complessa realtà con gli occhi di chi ha vissuto e coordinato da dentro ogni passaggio: da piccola azienda meccanica di Ozzano dell'Emilia specializzata nelle prime macchine packaging per le bustine di tea (segmento in cui è tuttora leader mondiale) a player globale diversificato in settori essenziali per la vita del pianeta quali food, pharma, automation, che oggi come nel 1961 (anno di fondazione) persegue «una solida base tecnica per produrre qualità e affidabilità, dando piene deleghe ai manager, rispettando le persone, azzerando li conflitti e condividendo gli stessi valori del cristianesimo».Una identità che neppure la quotazione in Borsa nel 1995 e la trasformazione in public company ha mutato, racconta il neolaureato in Ingegneria, insignito nel 2018 anche del titolo di Cavaliere del Lavoro Vacchi. «Per crescere bisogna però avere il coraggio di allearsi e sciogliere i legami col passato, seguendo sempre logiche tipicamente industriali, come il delisting del 2021 per rinforzare i pilastri su cui volevamo crescere: digitalizzazione (il progetto pluriennale Ima Digital, ndr) e i nuovi materiali green (la seconda gamba del futuro del gruppo, Ima Nop-No plastic, ndr), investimenti lunghi e pazienti che non possono essere guidati e limitati dai requisiti finanziari tipici del mercato borsistico».Forse però il segreto di Ima è il modello di governance partecipativa e armoniosa che la famiglia Vacchi ha adottato in ogni aspetto delle attività aziendali: all'interno della multinazionale; nelle relazioni con i sindacati (Fiom in prima fila); nella collaborazione a rete, rafforzata da interessenze azionarie, con i subfornitori locali (sorda alle sirene low cost delle delocalizzazioni); nelle sinergie di formazione e ricerca con le scuole e le università (si deve a Vacchi la nascita del nuovo liceo scientifico internazionale Steam di Bologna di soli quattro anni, allineato agli standard europei).Un modello partecipativo che il presidente di Ima ha adottato anche nei suoi incarichi associativi, quando come presidente di Unindustria Bologna (nel quadriennio 2011-2015) ha guidato il progetto per l'unificazione con le territoriali di Modena e Ferrara dando vita nel 2017 a Confindustria Emilia Area Centro, presieduta fino ad aprile 2019.
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