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Imarika e la rivincita del multimarca lontano dal quadrilatero della moda

di Giulia Crivelli

5' di lettura

Il panorama retail di 40 anni fa era molto diverso da quello odierno, a Milano e non solo. Non soltanto in Italia bensì nel mondo. I negozi multimarca erano molto diffusi, mentre quelli dei grandi brand sono arrivati solo dagli anni 90 in poi. Lo stesso vale per le catene del cosiddetto fast fashion, per i centri commerciali e per gli outlet. In molti i multimarca, in particolare quelli delle piccole città, sono stati travolti dalla concorrenza diretta di marchi che fino a quel momento avevano venduto in esclusiva o quasi. Poi ci sono state le crisi economiche e naturalmente la rivoluzione portata da internet e dall’e-commerce. Chi è sopravvissuto, tra i multimarca indipendenti, forse oggi è ancora più forte. Perché ha un’identità chiara e testimoniata da esperienze commerciali radicate sul territorio, cose che mancano alle insegne dei grandi marchi, che per molti anni sono caduti nella trappola di negozi tutti uguali ovunque nel mondo (negli ultimi cinque anni c’è stato un forte ripensamento di questa strategia, ma non è facile coniugare riconoscibilità globale con identità differenziate, il dilemma del “think globally, act locally”).

La capacità di differenziarsi da catene e grandi brand
Non solo: proprio perché, specie in città come Milano, i brand di medio e alta gamma hanno i loro negozi, i multibrand possono offrire capi e accessori di nomi poco conosciuti. Così facendo colgono un’altra tendenza post-globalizzazione: il desiderio di avere qualcosa di originale, che ci si illude di essere gli unici (o quasi) a possedere. Non è più tempo – anche per la spinta data dal mix & match con le collezioni di catene come Zara, H&M, Mango e tantissimi altri – di total look o di esibizione di marchi. E la recente logomania, allora, si potrebbe obiettare? È vero, nelle ultime collezioni e sulle passerelle si sono rivisti loghi e pattern legati alle iniziali dei marchi, ma a ben vedere è parte di un processo di recupero di identità, dopo l’annaquamento degli ultimi anni. Un altro punto di vantaggio per i multimarca, che non hanno mai smesso di offrire grandi brand (ognuno ha i suoi preferiti), affiancando però piccoli brand frutto di ricerca negli showroom durante le settimane della moda di Milano, Parigi, Londra e New York. Tra questi casi vincenti c’è Imarika, boutique d viale Piave (zona Porta Venezia), a Milano.

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L’originalità di Imarika e dei suoi proprietari

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Clientela variegata da 40 anni
Clienti di lunga data, persone che entrano incuriosite dalle vetrine; mamme con figlie e nipoti, a volte accompagnate da pazienti compagni o mariti. È il pubblico di Imarika: la boutique fu aperta nel 1979 dalle sorelle Benedetta (nella foto in alto con il figlio Maximiliano) e Maria Bevilacqua. Per festeggiare i 40 anni la famiglia si è regalata un originale restyling. «Abbiamo scelto lo studio di Andrea Marcante e Adelaide Testa e una parte del negozio è realizzata con materiali eco, come le argille naturali di Matteo Brioni», spiega Maximiliano Cattaneo, figlio di Benedetta Bevilacqua. Laureato alla Bocconi, appassionato di moda e soprattutto di ricerca, Maximiliano ha avuto l’idea di lanciare un marchio, che per ora viene venduto solo nel negozio di Milano: non l’ha chiamato Imarika (troppo semplice), bensì Kalia, sempre partendo dalla sostenibilità. Ambientale, ma soprattutto sociale: ogni capo è prodotto in Lombardia secondo tecniche artigianali che rischiano di sparire.

Mix tra grandi marchi e “sconosciuti”
Imarika resta un multimarca in senso classico, nel senso che tra i brand ce ne sono di molto famosi, come Jil Sander, Issey Miyake, Rochas e Comme des Garcons (a questo link l’elenco completo). Accanto però a marchi emergenti o di pura ricerca, spesso artigianali, italiani ma non solo. «Siamo diventati una shopping destination anche se non siamo nel quadrilatero della moda: da noi bisogna venire apposta, per il piacere di farlo», sottolinea Maximiliano. Global shopper dal Medio Oriente o dall’Asia sono sempre più interessate a boutique come Imarika: primo, perché il servizio è “su misura”, anche se non ci sono vip room. Secondo, perché l’evoluzone del gusto porta anche le principesse arabe a cercare il capo che “hanno solo loro”, invece di quello “che hanno tutte”.

La filosofia del marchio proprio
Maximiliano Cattaneo è razionale e idealista allo stesso tempo: ha studiato economia ma è appassionato di filosofia. Sulla sostenibilità ha le idee molte chiare: «Nella nostra ricerca, come Imarika, abbiamo sempre posto attenzione alla sostenibilità sociale ed economica, privilegiando realtà artigianali internazionali altamente specializzate e di altissima qualità. Pur senza farne pubblicità, abbiamo avuto brand che collaboravano con le carceri o con realtà del centro e Sud America depresse ma dal grande potenziale manifatturiero. Ln Knits, ad esempio, è un brand che per ogni sciarpa lavorata a mano dà lavoro ad un’operaia per una settimana. Si tratta di aree dove altrimenti non ci sarebbe lavoro. Jupe by Jackie, Péro, Injiri sono brand che hanno sviluppato un artigianato di altissimo livello in India. Lo stilista di Mina Perhonen, Akira Minagawa, disegna e produce tessuti originali facendo lavorare a telaio decide di persone in Giappone. Pietro Pianforini sviluppa da decenni le sua maglie più speciali da magliaie ormai anziane di Parma che fanno però ricami che quasi nessuno è più in grado di realizzare. La nostra Kalia è prodotta interamente in Lombardia e con una parte di tessuti eco. Lo sviluppo del territorio e il rispetto per l’ambiente sono una parte fondamentale della sostenibilità. Per questo abbiamo deciso di lasciare brand che non ci soddisfacevano e di dare più spazio a Kalia e ad altri brand anche perché danno valore al loro ambiente sociale. Dare un contributo, anche piccolo, allo sviluppo della nostra regione crediamo sia un valore».

Ogni brand scelto da Imarika è speciale a modo suo
Paul Harnden è un altro piccolo brand che si può trovare da Imarika di altissima qualità, seleziona tessuti inglesi e produce tutto nel Regno Unito, il laboratorio è a Brighton ed è un riferimento per la città. Happy Sheep ha creato una fabbrica moderna in Nepal, dando condizioni di lavoro di qualità in un'altra zona depressa del mondo. Officine Creative e Una Sera sono creatori di scarpe nelle Marche, il polo d’eccellenza delle scarpe italiano, dove però le Pmi e i laboratori soffrono, se non hanno un marchio proprio ma lavorano solo in conto terzi. Sempre delle Marche è Montegallo Hats, un brand che si ispira all’antica tradizione delle donne locali di intrecciare steli di grano per creare copricapi agli uomini al lavoro nei campi. Da questa tradizione, Alice Catena ha creato un brand di cappelli d’avanguardia e molto raffinati. Per restare nel settore dei cappelli, c’è anche Grevi, artigiano di cappelli a Firenze. Sempre nei dintorni del capoluogo toscano si trovano altri due brand di Imarika: Barbara Tani e Her shirt, cheproducono rispettivamente i pantaloni e camicie, dando lavoro a persone del luogo. Dal Veneto vengono L e Nora, Forte Forte e Vivetta, dalla Puglia Tagliatore, famoso per i tagli sartoriali. Dalla prossima stagione ci sarà Daniela Gregis, che produce tutto in modo iper-artigianale e a telaio nel suo laboratorio di Bergamo.

I contenuti del sito
Maximiliano Cattaneo crede nella shopping experience reale, nel “brick and mortar”, come dicono gli americani. Ma è consapevole che internet può essere un efficace strumento di comunicazione. Sul sito di Imarika ci sono informazione utili, ma anche contenuti extra, curati dallo stesso Maximiliano in molti casi. Tra questi, «Il Kaiser della moda», ricordo di Karl Lagerfeld, scomparso in febbraio, accanto a una riflessione sulla Felicità, pubblicata pochi giorni fa, in occasione dell’inizio della Quaresima, dove si legge: «Quante persone sappiamo essere ricche, famose, eppure infelici. Quanti sembrano non mancare di alcun bene di questo mondo eppure sono tristi o depressi». Molte inoltre le recensioni di mostre, come quella sulla pittrice Margherita Sarfatti. Non si vive di sola moda, sembra pensare Maximiliano. A maggior ragione se è la moda che ti dà da vivere.

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