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Imballaggi, Confindustria fa fronte comune per rivedere il regolamento Ue

Incontro a Bologna delle associazioni nazionali, regionali, locali e di settore con l’europarlamentare Salini (Ppe) per chiedere una nuova analisi di impatto, più spazio al riciclo e 48 mesi di tempo

di Ilaria Vesentini

(Aleksandr Matveev - stock.adobe.com)

4' di lettura

Gli obiettivi “zero waste” e “climate neutrality”, cui mira il regolamento europeo sugli imballaggi in discussione al Parlamento, sono condivisi, ma è la modalità per raggiungerli che trova unanimemente contrari gli industriali italiani, riuniti a Bologna in un incontro a porte chiuse con l'europarlamentare del Ppe Massimiliano Salini, per condividere come migliorare la proposta che il prossimo dicembre dovrebbe essere licenziata dal trilogo Parlamento-Consiglio-Commissione Ue e salvare decenni di investimenti fatti dall'Italia sul riciclo dei rifiuti da imballaggio, che fanno del nostro Paese un'eccellenza in fatto di economia circolare.

Un aspetto inedito, rispetto ad altri iter di norme comunitarie molto discusse, è emerso durante il convegno “Proposta di Regolamento dell’Ue sugli imballaggi e i rifiuti derivati. Prospettive e scenari futuri per le imprese”, organizzato da Confindustria Emilia-Romagna e Confindustria Emilia Area Centro, con la collaborazione di Ucima (i costruttori di macchine automatiche per il confezionamento e l'imballaggio): la compattezza di tutto il sistema imprenditoriale italiano (agricoltura e commercio inclusi) per ottenere da Bruxelles una nuova valutazione di impatto costi-benefici, un allentamento (o una esclusione) degli obblighi sul riuso per i Paesi che raggiungono un'alta soglia di riciclo e un lasso di almeno 48 mesi di tempo prima dell'entrata in vigore della normativa.

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I nodi della proposta

«Al Parlamento europeo – spiega l'onorevole Salini di Forza Italia, relatore alla commissione Ambiente della proposta per una nuova “Packaging Waste Regulation”– stiamo lavorando per riportare nei binari del buon senso il testo proposto dalla Commissione, sbagliato in partenza perché sostituisce il fine di ridurre i rifiuti con la riduzione degli imballaggi, imponendo modelli di consumo alle persone e alle imprese. L'improvviso dietrofront sul riciclo in nome del riuso non è giustificabile, guarda al passato, non tiene conto delle specificità industriali dei Paesi membri e vanifica gli sforzi delle imprese italiane che, grazie alla loro straordinaria capacità di innovare, sono diventate un modello europeo superando il 70% di tasso di riciclo degli imballaggi, centrando con nove anni di anticipo gli obiettivi della Commissione. Ora, quest'ultima vira incomprensibilmente sul riutilizzo, senza fornire analisi di impatto e aprendo paradossalmente a incrementi nel consumo di acqua ed energia che nuocerebbero all'ambiente. Siamo contrari anche a una definizione restrittiva di “riciclo di alta qualità” e al “close loop recycling” (per cui un imballo di cartone riciclato deve tornare imballo di cartone, ndr) che metterebbero fuori gioco intere filiere industriali».

I rischi per l'industria e la salute pubblica

«Noi non contestiamo gli obiettivi ambientali, anzi li sosteniamo fortemente – rimarca Maurizio Marchesini, vicepresidente Confindustria per le Filiere e le Medie imprese –. Contestiamo piuttosto l'impostazione ideologica della proposta di riforma che, per come è concepita, rischia di danneggiare numerosi settori strategici del tessuto economico italiano ed europeo. Orientare i consumi verso la promozione acritica delle filiere corte e a Km 0 (farm to fork), favorendo i prodotti sfusi e il riutilizzo degli imballaggi a danno del riciclo, è in contrasto con la propensione delle imprese italiane all'export e con le esigenze del mondo agricolo, industriale e del commercio. Una regolamentazione a esclusivo favore del riuso a scapito del riciclo non limiterebbe l'impatto ambientale: in molti casi il riciclo dell'imballaggio monouso è l'opzione maggiormente sostenibile, perché prevede meno consumo di acqua e di energia, salvaguardando i problemi di igiene e di sicurezza. La Commissione europea deve indicare gli obiettivi, ma lasciare alle imprese e alla loro capacità di innovare il modo di raggiungerli, applicando quella neutralità tecnologica che stiamo richiamando come necessaria in diversi ambiti».

Le filiere più esposte sulla via Emilia

Parole sposate in toto dal presidente di Ucima, Riccardo Cavanna, che guida una nicchia della meccanica Made in Italy, le tecnologie per il packaging, leader mondiale e reduce da un 2022 record in cui ha toccato il picco storico per fatturato (8,54 miliardi di euro nel 2022, quasi l'80% export) e occupati diretti (quasi 38mila) e che per il 60% è concentrata proprio in Emilia-Romagna. «A essere fortemente impattati dal regolamento ci sono altri settori chiave per la nostra regione – aggiunge la presidente di Confindustria Emilia-Romagna, Annalisa Sassi – come la filiera della plastica, con 7.800 imprese attive e 117mila addetti, e il comparto alimentare che qui conta 4.600 aziende e 450mila addetti. Settori fortemente esportatori per cui il divieto di utilizzo di numerosi tipi di imballaggi può creare ostacoli al commercio internazionale». «È un provvedimento non sostenibile prima ancora per l'ambiente che per l'economia – sottolinea Cavanna, ricordando che l'imballaggio ha reso democratici e accessibili beni che prima non lo erano – perché il food waste ha un impatto dieci volte maggiore del packaging waste. Il punto è trovare il giusto compromesso tra riuso e riciclo e tra la sostenibilità delle diverse filiere coinvolte e le esigenze dei cittadini-consumatori, con un approccio pragmatico non ideologico».

Ritorno al passato guardando alle Europee del 2024

«La packaging waste regulation rappresenta un'opportunità, se ben articolata, per affrontare il tema sostenibilità in modo omogeneo in tutta Europa – afferma Valter Caiumi, presidente di Confindustria Emilia Area Centro –. La proposta così come formulata oggi, al di là delle evidenti ricadute economiche negative sull'industria, rischi di andare contro gli obiettivi del Green Deal, riportando indietro le lancette dell'orologio del riciclo e compromettendo la funzionalità degli imballaggi nel proteggere i prodotti, con ripercussioni sulla salute e sicurezza alimentare di tutti gli europei». Tralasciando gli aspetti più tecnici dei diversi punti ostici da rivedere della proposta di regolamento (come il 6, il 7, il 22 e il 26), esulando dalla discussione se è meglio l'approvazione di un regolamento immediatamente efficace in modo uniforme in tutti i Paesi membri o una direttiva che i singoli Paesi devono poi declinare in base alle proprie specificità e opzioni tecnologiche (con il rischio di creare disparità concorrenziali) e sottacendo la speranza condivisa nell’auditorium di Confindustria Emilia che si arrivi alle elezioni del nuovo Parlamento europeo, nel giugno 2024, senza aver approvato il regolamento, «il punto più problematico è che nell'allegato 5 all'articolo 22 della proposta si lascia alla legislazione secondaria della Commissione la possibilità di aggiungere in futuro ulteriori imballi da bandire, facendo carta straccia di negoziazioni democratiche in sede parlamentare. Gli atti delegati vanno eliminati», conclude Salini.


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