Imparare ad ascoltare, questa è la via per diventare leader migliori
I “great listener” fanno rimbalzare le idee, amplificano sentimenti e contenuti, danno energia e aiutano a chiarire il pensiero dell’interlocutore
di Eva Campi *
5' di lettura
Lo sapevate che la valutazione delle persone sulla propria capacità di ascolto è molto simile alla loro auto-percezione in merito all’abilità di guida? La maggior parte degli adulti pensa, infatti, di essere al di sopra della media in entrambi gli ambiti. Sarete concordi nell’affermare, invece, che la situazione sia, ahimè, alquanto diversa e parlo della capacità di ascolto! Sarà senza dubbio una mia deformazione professionale, ma nelle situazioni lavorative più svariate (e non!) assistiamo ogni giorno ad innumerevoli e ripetuti incidenti relazionali, emotivi, decisionali causati da un basso ascolto.
Forse sarà da imputare al fatto che la maggior parte delle persone ritiene che un buon ascoltatore debba fare tre cose:
1. Non parlare quando parlano gli altri
2. Far sapere agli altri che stai ascoltando attraverso le espressioni facciali e i suoni verbali di assenso (”Mmm-hmm”)
3.Riuscire a ripetere quello che gli altri hanno detto, più o meno parola per parola.
In effetti, molti training sull’ascolto attivo suggeriscono di agire esattamente questi tre comportamenti: incoraggiare gli ascoltatori a rimanere in silenzio, annuire e mugugnare un “mm-hmm”, e poi ripetere all’oratore qualcosa come: “Quindi, fammi essere sicuro di capire. Quello che stai dicendo è...”.
Ma siamo certi che i “great listener” facciano solo questo? Jack Zenger e Joseph Folkman - esperti consulenti sulle tematiche della leadership - hanno analizzato attentamente 3.492 partecipanti ad un programma di sviluppo progettato per aiutare i manager a sviluppare le soft skills e che prevedeva una valutazione a 360° delle capacità di coaching. Una volta identificati i top performer (il 5% con il punteggio più alto della distribuzione) gli autori della ricerca hanno messo in evidenza 4 direzioni principali che caratterizzano il buon ascolto:
1. Un buon ascolto è molto più che stare in silenzio mentre l’altra persona parla. Al contrario, le persone percepiscono che i “great listener” siano quelli che periodicamente pongono domande che promuovono la scoperta e l’intuizione. Queste domande sfidano gentilmente la riflessione e l’introspezione mettendo in discussione anche radicati presupposti, ma in modo costruttivo. Un buon ascolto quindi si basa sul dialogo ed è interattivo.
2. Un buon ascolto mantiene e sviluppa l’autostima di una persona. I “great listener” rendono la conversazione un’esperienza positiva per l’altro, cosa che non accade quando l’ascoltatore è passivo (o peggio, critico!); fanno sentire l’altro supportato, trasmettendo fiducia e creando un ambiente sicuro in cui le divergenze e le differenze possono essere discusse apertamente.
3. Il buon ascolto è una conversazione cooperativa. In queste interazioni, il feedback scorre senza intoppi in entrambe le direzioni senza che nessuna delle parti si metta sulla difensiva sui commenti fatti dall’altro. Al contrario, i “poor listener”, invece, vengono percepiti come competitivi, costantemente alla ricerca degli errori nel ragionamento o nella logica, e usano il loro silenzio come un’opportunità per preparare la loro prossima risposta (nota da formatrice incallita, questa caratteristica è senza dubbio determinante per diventare un buon oratore, ma non per diventare un “great listener”). Chi manifesta un buon ascolto può mettere in discussione le ipotesi e non essere d’accordo, ma la persona che viene ascoltata sente che l’ascoltatore sta cercando di aiutarlo, non ha come obiettivo quello di vincere nella discussione.
4. I “great listener” tendono a dare suggerimenti. Un buon ascolto ha a che fare con la capacità di fornire feedback, che gli altri accettano, perchè capaci di aprire percorsi alternativi da prendere in considerazione. In particolare, questo ultimo dato desta la nostra sorpresa. Infatti, non è raro sentire lamentele del tipo: “Il tal dei tali non ha ascoltato, è semplicemente intervenuto e ha cercato di risolvere il problema”.
Forse quello che ci rammenta questa ricerca è che dare suggerimenti non è di per sé il problema, ma potrebbe esserlo l’abilità con cui vengono comunicati questi consigli/indicazioni. Oppure, un’altra possibilità, è che siamo naturalmente più propensi ad accettare consigli e soluzioni da persone che già reputiamo “great listener”. In poche parole, qualcuno che tace per l’intera conversazione e poi interviene con un suggerimento potrebbe non essere considerato credibile. Qualcuno che sembra combattivo o critico e poi cerca di dare consigli potrebbe non essere considerato affidabile.
Se nell'immaginario collettivo il buon ascoltatore viene spesso paragonato ad una “spugna”, questi risultati sembrano indicare che la metafora più adatta sia quella del “trampolino”. I “great listener”, infatti, fanno rimbalzare le idee, amplificano sentimenti e contenuti, danno energia e aiutano a chiarire il pensiero dell’interlocutore. Fanno sentire meglio gli altri, non solo assorbendo passivamente, ma sostenendolo attivamente, lo supportano nel guadagnare forza e altezza, proprio come fa un trampolino.
Ovviamente ci sono diversi livelli di ascolto e non tutte le conversazioni ne richiedono i massimi livelli, ma molte conversazioni, professionali e non, trarrebbero vantaggio da una maggiore concentrazione e capacità di ascolto.
E noi, a quale livello di “great listener” vogliamo puntare?
Livello 1: creare un ambiente sicuro in cui possono essere discussi problemi difficili, complessi o emotivi.
Livello 2: eliminare le distrazioni (whatapp, mail, ecc…), concentrando l’attenzione sull’altra persona e stabilendo un contatto visivo appropriato, sia live che, ancora di più, da remoto.
Livello 3: cercare di capire la sostanza di ciò che l’altra persona sta dicendo. Catturare le idee, fare domande, confermare con esempi concreti che siamo a bordo e che la nostra comprensione è corretta.
Livello 4: osservare i segnali non verbali, come espressioni facciali, sudore, frequenza respiratoria, gesti, postura e numerosi altri sottili segnali del linguaggio del corpo.
Livello 5: comprendere le emozioni e i sentimenti dell’altra persona sull’argomento in questione, identificarli e riconoscerli. Entrare in empatia.
Livello 6: porre domande che aiutano a chiarire i pensieri dell’altra persona e la aiutano a vedere il problema sotto una nuova luce. Aggiungo, facendo attenzione a non manipolare la conversazione e il risultato.
Ogni livello si costruisce su quello precedente, quindi, se siamo stati criticati, ad esempio, per aver offerto soluzioni piuttosto che ascoltare, potrebbe significare che dobbiamo occuparci di alcuni degli altri livelli precedenti; come eliminare le distrazioni o contattare l’altro con empatia, prima che i nostri suggerimenti offerti possano essere apprezzati ed essere, quindi, utili.
In conclusione, mi sento di affermare che, considerate le centinaia di ore di formazione investite nel public speaking e nelle presentazioni efficaci, non c’è da sorprendersi se le abilità oratorie di manager e professionisti in generale siano di gran lunga migliori di quelle dell’ascolto. Tuttavia, se il complex problem solving è tra le prime top skills che i leader di domani dovranno utilizzare secondo il World Economic, non vedo come potremmo mai svilupparla pienamente se non iniziamo ad ascoltare come Marianella Sclavi ci insegna nel suo “L'Arte di Ascoltare e la Costruzione di Mondi Possibili”.
Se domani ricevete un invito per un training dal titolo “imparare ad ascoltare” pensateci su, può essere veramente l'occasione per diventare “great listener” e quindi dei leader migliori, anche da subito.
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