Impeachment, l’ambasciatore Sondland inguaia Trump
Il diplomatico Gordon Sondland nella sua seconda testimonianza davanti alla Commissione intelligence della Camera conferma la sospensione dei 400 milioni di dollari di aiuti militari a Kiev sollecitata dal presidente americano
dal nostro corrispondente Riccardo Barlaam
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NEW YORK - «Sono pazzi. Vogliono distruggere il paese», grida Donald Trump in uno dei suoi comizi elettorali in Kentucky attaccando «i democratici radicali» che indagano contro di lui per l’impeachment legato all’Ucrainagate. Da ottobre la Commissione d’intelligence della Camera presieduta da Adam Schiff, il deputato dem che guida l’inchiesta, diventato il nemico numero uno del tycoon, ha ascoltato 12 testimoni, per tentare di ricostruire la vicenda delle pressioni per indagare i Biden.
Trump si difende attaccando
Trump continua a difendersi dalle accuse a suo modo, attaccando. Definisce l’inchiesta «la più grande caccia alle streghe della storia». Nel suo rally elettorale è circondato da migliaia di sostenitori con il cappellino rosso d’ordinanza, le bandiere americane e una t-shirt addosso con la scritta «Read the trascript»: leggete la trascrizione. Il riferimento è al testo della telefonata del 25 luglio tra Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky al centro dell’inchiesta per la messa in stato di accusa. Il continuo e ripetuto riferimento all’inchiesta nei comizi e nei tweet tradisce il nervosismo di Trump.
Le testimonianze che lo accusano
Martedì 5 novembre è stata una giornata importante per l’inchiesta democratica. Per una serie di ulteriori testimonianze che hanno fatto crollare il castello difensivo messo in piedi da Trump e dal suo cerchio magico. A mettere nei guai il presidente è stato soprattutto l’ambasciatore Usa presso l’Unione europea Gordon Sondland, peraltro tra i grandi finanziatori della campagna del tycoon, che per la seconda volta ha raccontato la sua versione dei fatti – la prima testimonianza era avvenuta il 17 ottobre, trascritta in un documento di 400 pagine – e ha cambiato deposizione inguaiando il presidente. Al centro della testimonianza dell’ambasciatore Sondland c’è la vicenda dei 400 milioni di dollari di aiuti militari americani all’Ucraina che sarebbero stati sospesi da Trump, fino a quando Kiev non avesse annunciato l’avvio dell’inchiesta contro Hunter Biden, il figlio di John Biden, per i suoi legami con Burisma, la società di gas ucraina nella quale sedeva nel board.
L’incontro a Varsavia con Mike Pence
Sondland ha ritrattato la sua precedente testimonianza e ha raccontato un novo episodio che risale al primo settembre: durante un incontro a Varsavia con il vice presidente Mike Pence, il leader ucraino Zelensky sollevò le sue preoccupazioni sulla sospensione degli aiuti americani. Il diplomatico ha rincarato la dose: «Dopo quell’incontro – ha detto – parlai con il Consigliere per la sicurezza nazionale ucraino Andriy Yermak. Gli dissi che la ripresa degli aiuti americani non si sarebbe verificata finché l’Ucraina non avesse fatto la dichiarazione pubblica contro la corruzione di cui avevamo discusso per molte settimane». Nella precedente testimonianza il diplomatico aveva affermato di essere all’oscuro di qualsiasi tentativo di pressione politica e di collegamento dei 400 milioni di aiuti con la richiesta di un'indagine contro i Biden.
Le trame di Rudy Giuliani
L’altra testimonianza imbarazzante per l’amministrazione e per il presidente è stata quella dell’inviato Usa Kurt Volker che ha accusato apertamente Rudy Giuliani, avvocato personale di Trump, di aver fatto pressioni contro i leader ucraini per ricevere una dichiarazione ufficiale di indagine anti corruzione sulle elezioni del 2016 e su Burisma. Volker ha anche detto che Giuliani, che non ha nessun ruolo ufficiale nell’amministrazione americana, scavalcò la rete diplomatica Usa, grazie ai favori di cui godeva da parte del presidente Usa, aprendo un canale diretto con il governo ucraino.
L’ambasciatrice silurata
Ha di nuovo testimoniato davanti alla Commissione Intelligence della Camera anche l’ex ambasciatrice Usa a Kiev, Marie Yovanovitch: la precedente deposizione risale all’11 ottobre. L’ambasciatrice è stata rimossa dall’incarico da Trump perché ritenuta poco collaborativa, anzi di ostacolo per le trame orchestrate da Giuliani: ha subito una vera e propria campagna diffamatoria da parte del legale del presidente perché gli metteva i bastoni tra le ruote. La diplomatica fu richiamata di urgenza a Washington dal Dipartimento di Stato per motivi riguardanti la sua sicurezza. Una volta rientrata le fu detto che aveva perso la fiducia di Trump, senza alcuna ulteriore spiegazione. Fu scaricata dal segretario di Stato Mike Pompeo. Ha raccontato che i funzionari del Dipartimento, più realisti del re, temevano che se non fosse stata tolta di torno dall'ambasciata ci sarebbe stato un tweet al veleno di Trump contro di lei.
I silenzi di Pompeo
In un’altra testimonianza alla Camera l’ex consigliere del segretario di Stato Pompeo, Mike McKinley ha raccontato di avere per ben tre volte sollevato dubbi sulla decisione di rimuovere l’ambasciatrice Marie Yovanovitch dalla sua sede a Kiev. McKinley ha proposto di diffondere un comunicato a difesa della diplomatica. Pompeo non ha risposto alle sollecitazioni, neanche quando ha annunciato al capo della diplomazia Usa che avrebbe lasciato il suo incarico.
Trump: l’inchiesta è una farsa
Il presidente è tornato di nuovo a fine giornata sulle indagini contro di lui sull’impeachment dopo la divulgazione delle testimonianze di Sondland e Volker: «Le due trascrizioni diffuse oggi mostrano che per questo impeachment farsa illegittimo ci sono ancora meno prove di quanto si pensasse prima».
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