Impeachment, perché chiederlo per Mattarella stride con la Costituzione
di Giulio Enea Vigevani
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Nella sempre più drammatica crisi della Repubblica, politici disinvolti stanno evocando, con qualche incoscienza, la messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica. La critica, certamente legittima, alle modalità di esercizio di tale potere si è tradotta addirittura nell’accusa di aver compiuto reati tra i più gravi del nostro ordinamento, quali l’attentato alla Costituzione o l’alto tradimento.
Tali delitti costituiscono le sole eccezioni al principio generale di irresponsabilità del Presidente per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni. Si tratta di reati propri, strettamente connessi al ruolo di garante della Costituzione e di rappresentante dell’unità nazionale: per l’attentato alla Costituzione sono casi di scuola la partecipazione a un colpo di Stato o la promulgazione di una legge intrinsecamente “ingiusta”, come ad esempio la legge sulla difesa della razza del 1938; integrerebbe invece l’alto tradimento l’intesa con potenze straniere al fine di sovvertire l’ordinamento.
Certo è che su tali reati resta ancora un alone di mistero, anche perché fortunatamente nei 70 anni di storia repubblicana non si è mai andati oltre un’indagine del comitato parlamentare, presto archiviata, a carico di Cossiga. E quella per i reati presidenziali resta l’unica competenza che la Corte costituzionale non ha mai esercitato.
Ma forse questi sono i tempi “delle prime volte”: del resto, il procedimento che conduce al giudizio sul Presidente da parte della Corte ha una prima fase eminentemente politica, la messa in stato d’accusa, che si conclude con il voto a scrutinio segreto del Parlamento in seduta comune. E siccome per condurre il Presidente di fronte al giudice costituzionale si richiede solo la maggioranza assoluta, ossia il 50% più 1 dei componenti, nulla impedisce di immaginare che nelle attuali Camere vi sia una maggioranza determinata a utilizzare tale “arma finale”.
E non importa che poi la Corte, con ogni probabilità, giudicherebbe tale accusa manifestamente infondata: la sola esistenza di un processo penale contro il Presidente sarebbe dirompente per le istituzioni e minerebbe in ogni caso la legittimità del Presidente medesimo.
Dunque, davvero Mattarella ha violato la Costituzione, rifiutandosi di nominare ministro il professor Savona? Forse potrebbe sostenerlo chi ritenga che il Presidente abbia un ruolo “decorativo”, di notaio di decisioni altrui. Ma non è questo il Capo dello Stato voluto dai Costituenti e non è questo il ruolo che i Presidenti hanno assunto nella storia repubblicana. Proprio in materia di formazione del Governo si è in tante occasioni aperta una dialettica tra le ragioni politiche della maggioranza e le valutazioni istituzionali del Presidente. E ciò è avvenuto specie per i ministeri più rilevanti per la garanzia dei diritti - interno e giustizia - e per il rispetto degli accordi internazionali - esteri, economia e difesa.
In questa logica, il Presidente, quale rappresentante dell’unità, ha una qualche discrezionalità anche nella nomina dei ministri, specie di fronte a proposte che egli ritenga mettano in pericolo gli interessi generali del Paese o pongano in discussione le opzioni consolidate di politica internazionale.
Tali valutazioni possono essere oggetto di critiche, anche severe, ma stride indiscutibilmente con la lettera e con lo spirito della Costituzione invocare in questo caso l’alto tradimento e impegnare così il Parlamento in un procedimento di messa in stato di accusa destabilizzante per le istituzioni e per il Paese.
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