Imposte, oneri e rette comunali: dal 2020 l’accertamento è esecutivo
Le azioni esecutive potranno partire già dopo 120 giorni dalla notifica, a meno di ricorsi. I contribuenti pagheranno aggi più leggeri ma dovranno stare attenti alle sospensive
di Luigi Lovecchio
4' di lettura
Mancano nove giorni al debutto dell’accertamento esecutivo nei tributi comunali. Dal 1° gennaio 2020, infatti, le nuove regole varate con il decreto fiscale riducono i tempi per il recupero coattivo delle somme dovute dai cittadini:
● attualmente, dopo la notifica dell’avviso di accertamento, il Comune deve inviare la cartella di pagamento o l’ingiunzione fiscale;
● a partire dall’anno prossimo le azioni potranno iniziare già dopo 120 giorni dalla notifica dell’atto, salvo il caso della proposizione del ricorso.
Con la novità in arrivo cambiano quindi le prassi dei Comuni e dei contribuenti in relazione ai tributi comunali, come Imu e Tasi. Ma bisogna ricordare che il nuovo titolo esecutivo sarà utilizzabile anche per le entrate patrimoniali, quali ad esempio le rette dell’asilo e gli oneri di urbanizzazione. Non è chiaro se (come si ritiene) la medesima procedura varrà per le multe stradali.
Per somme inferiori a 10 euro l’accertamento non è esecutivo. Il debito tuttavia rimane e può cumularsi con debiti maturati successivamente, sino a quando, superata tale soglia, non potrà essere riportato in un accertamento esecutivo.
Gli atti interessati
Oltre che l’annualità 2020, gli atti di accertamento esecutivi potranno riguardare tutte le annualità pregresse, non ancora decadute alla data del prossimo 1° gennaio . Deve però trattarsi di accertamenti “emessi” a partire da gennaio, a prescindere dalla data della notifica al contribuente. Questo significa che si deve guardare alla data in cui l’atto è uscito dalla sfera di disponibilità dell’ente impositore.
Per fare un esempio, l’accertamento confezionato e spedito a dicembre, ma ricevuto dal contribuente a gennaio, non sarà un accertamento esecutivo. Viceversa, un atto spedito a gennaio 2020 deve avere la forma dell’accertamento esecutivo.
Comunque, le cartelle e le ingiunzioni fiscali non scompariranno, poiché queste dovranno continuare ad essere notificate con riferimento ad accertamenti già notificati prima della riforma.
Atti da adeguare
I Comuni dovranno adeguare i format degli atti di accertamento e dovranno inoltre mettere a punto le procedure di trasmissione del carico al soggetto incaricato della riscossione.
Sul punto, è prevista l’adozione di un decreto delle Finanze, in attesa del quale tuttavia gli enti potranno comunque provvedere autonomamente. Inoltre, poiché l’incaricato potrebbe essere un soggetto in house oppure una società iscritta all’albo dei soggetti abilitati, nell’atto dovranno essere forniti i relativi dati identificativi.
Aggi meno pesanti
Un cambiamento senz’altro favorevole per il cittadino sarà l’importo dell’aggio di riscossione. Allo stato attuale, la maggior parte delle riscossioni, svolte sia in proprio dal Comune che affidate a terzi, prevede come prassi l’addebito di un aggio parificato a quello dell’agenzia delle Entrate-Riscossione. Si tratta di un importo pari al 6% delle somme da riscuotere, senza limiti in valore assoluto. Questo significa che se si riscuote ad esempio un importo di 20mila, l’aggio è pari a 1.200 euro.
Con l’entrata in vigore della riforma, la misura dell’aggio sarà pari al 3% o al 6%, a seconda che si paghi entro o oltre 60 giorni dalla notifica dell’atto, con un tetto massimo, decisamente contenuto, pari rispettivamente a 300 euro o a 600 euro. Ne deriva che addebiti maggiori di tali somme potranno essere contestati.
Nulla cambia però se la riscossione è effettuata dalle Entrate-Riscossione.
Più tempo per i Comuni
Un altro effetto delle modifiche è il potenziale allungamento dei termini a disposizione del riscossore per il recupero delle somme. Ad oggi, l’ente comunale deve farsi carico di rispettare due ordini di scadenze nell’attività di recupero coattivo:
1. l’atto esecutivo (cartella o ingiunzione) deve essere notificato entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo, a pena di decadenza;
2. una volta rispettato tale termine, l’azione di recupero coattivo deve essere attivata nel termine prescrizionale che, nei tributi comunali, è di regola di cinque anni.
Con l’accertamento esecutivo, non esiste più il termine decadenziale ma solo quello prescrizionale che può essere interrotto in qualsiasi momento e per più volte, con la notifica di un atto di messa in mora.
Inoltre, le amministrazioni locali avranno accesso all’anagrafe tributaria. Questo significa che sarà più semplice individuare gli istituti di credito con cui il contribuente ha rapporti, al fine di promuovere il pignoramento presso terzi.
L’accesso all’anagrafe e i pignoramenti
In caso di ricorso contro l’accertamento, il contribuente potrà contare su di una moratoria di 180 giorni per le azioni esecutive. Occorre tuttavia fare attenzione, perché se il riscossore è lo stesso soggetto che accerta tale termine è ridotto a 120 giorni.
Inoltre, poiché la moratoria non riguarda le azioni cautelari (fermo e ipoteca), se il contribuente non è in grado di pagare, converrà chiedere subito la sospensiva al giudice tributario. In ogni caso, per somme non superiori a 10mila euro, prima di attivare qualsiasi forma di recupero coattivo, occorrerà notificare un sollecito a pagare le somme dovute entro 30 giorni. Questo dovrebbe scongiurare, ne lla maggior parte dei casi, azioni di aggressione “a sorpresa”.
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