Imprenditori stranieri: la crescita 2020 (+2,3%) batte il virus. In testa europei dell’Est e cinesi
Secondo la Fondazione Leone Moressa gli imprenditori nati all’estero sono 739.568, su un totale di 7,5 milioni: in crescita costante dal 2011, quando erano 572mila. Fra il 2019 e il 2020 l’aumento è del 2,3%, con una sostanziale tenuta, nonostante il Covid
di Valentina Melis
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È nato all’estero uno su dieci degli imprenditori censiti in Italia dalle Camere di commercio. E quasi l’11% delle imprese è a conduzione straniera. La pandemia di Covid-19 ha fatto sentire i suoi effetti anche sugli occupati di nazionalità straniera, che sono diminuiti di 158mila nel terzo trimestre 2020 su base annua. Gli imprenditori immigrati, però, sembrano resistere e l’anno scorso è continuato il trend di crescita dell’ultimo decennio. È il bilancio tracciato dalla Fondazione Leone Moressa e anticipato al Sole 24 Ore del Lunedì.
Gli imprenditori nati all’estero (titolari o soci di imprese) sono 739.568, su una platea totale di 7,5 milioni. Si tratta di un numero in crescita costante dal 2011, quando erano 572mila. L’aumento è del 29,3% in dieci anni. Fra il 2019 e il 2020, invece, il numero degli imprenditori stranieri è cresciuto del 2,3%, con una sostanziale tenuta, nonostante l’epidemia. Poiché il bilancio generale sulla cessazione delle imprese e sui fallimenti non ha rivelato nel 2020 grandi cambiamenti rispetto al passato (i dati provinciali registrano aumenti compresi entro il 4%), è possibile che gli operatori economici sul territorio siano rimasti in attesa di capire quali saranno le conseguenze della pandemia, e che l’impatto effettivo sul numero di imprese diventi più visibile quest’anno.
«Malgrado la crisi causata dal Covid-19 gli imprenditori immigrati continuano a crescere», spiega Chiara Tronchin, ricercatrice della Fondazione Leone Moressa. «Le motivazioni - continua - possono essere diverse: chi è nato all’estero può essere stato costretto a cercare un’alternativa al mercato del lavoro dipendente a causa della crisi, o semplicemente essersi unito in società con parenti o connazionali con la speranza di prospettive migliori».
Se si considera il numero delle imprese a conduzione straniera (cioè imprese individuali con titolare nato all’estero o società di capitale con almeno il 50% di cariche e quote in mano a stranieri o società di persone o cooperative con almeno il 50% dei soci o degli amministratori straniero), si tratta di 563.176 imprese su un totale di 5,1 milioni.
La Cina si conferma il primo Paese d’origine degli imprenditori stranieri: sono 75.906. Anche Romania e Marocco contano più di 70 mila imprenditori. Nell’ultimo anno gli aumenti maggiori sono stati nelle comunità dell’Est Europa: Romania (+3,6%), Albania (+6%), Moldavia (+8,6%), Ucraina (+5,2%). In crescita anche Nigeria (+8,2%), Pakistan (+5,1%), ed Egitto (+3,8%). Rallentano invece Bangladesh (+1,7%) e India (+2,4%), dopo la crescita consistente dell’ultimo decennio.
La prima regione per numero di imprenditori stranieri è la Lombardia, con 157 mila: oltre un quinto del totale nazionale. In questo caso, la componente immigrata rappresenta l’11,6% dell’imprenditoria complessiva. La seconda regione è il Lazio, con oltre 89 mila imprenditori e l’incidenza più alta in assoluto (13%). Ci sono poi tre regioni che hanno più di 60 mila imprenditori stranieri: Toscana, Emilia-Romagna e Veneto. Nell’ultimo anno gli imprenditori immigrati sono aumentati in tutte le regioni: Lazio, Piemonte, Liguria, Puglia, Trentino Alto Adige, Umbria e Basilicata hanno registrato incrementi maggiori del 3 per cento.
Le concentrazioni più importanti di imprenditori immigrati sono nelle grandi città: Milano, Roma, Torino e Napoli. Se invece consideriamo l’incidenza sul totale degli imprenditori, il picco massimo si raggiunge a Prato, dove uno su quattro è straniero. Altre tre province segnano un’incidenza sopra il 15%: Trieste, Imperia e Milano.
Quanto ai settori, oltre un terzo delle 563mila imprese con titolare straniero, si concentra nel commercio. Più del 60% delle imprese straniere è compreso tra commercio e costruzioni. L’incidenza sul totale delle imprese raggiunge il picco massimo nell’edilizia (18,8%) e nel commercio (15,1%).
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