Impresa cultura per la cura e il rilancio del Paese
Le aziende culturali colpite dalla crisi: il 70% stima perdite del 40%, il 13% oltre il 60% e il 50% una riduzione e ridefinizione delle attività. In 20 anni risorse pubbliche ridotte di 1 miliardo di euro, fruizione in calo per cinema, teatro, lettura, in controtendenza musei e parchi archeologici
di Marilena Pirrelli
7' di lettura
Nei giorni in cui si annuncia la chiusura dei musei con il prossimo Dcpm causa Covid, ultimo baluardo della cultura fruibile, il ministro dei beni culturali e turismo, Dario Franceschini, cerca di farsi e darci coraggio: “Appena questa pandemia terminerà sono convinto ci sarà ci sarà una ripartenza dei consumi culturali molto forte. Lo abbiamo visto già con i libri. Lo vedremo in tutti i settori del consumo culturale. La gente avrà voglia di vivere la bellezza, di consumare cultura e visitare l'Italia”. Lo afferma in video conferenza intervenendo alla presentazione del 16° Rapporto Annuale Federculture Impresa Cultura , che quest'anno ha il sottotitolo “Dal tempo della cura a quello del rilancio” con una analisi ventennale del comparto. “Anche le crisi più dure negative offrono delle opportunità” è convinto Franceschini, diviso tra la cultura e le riunioni di Governo. “Adesso dobbiamo aiutare tutte le imprese e tutti i lavoratori del settore ad attraversare questo deserto, sapendo che dopo ci sarà una stagione di grande crescita, per la quale dobbiamo lavorare insieme. Questo è un anno particolare, stavamo gestendo una fase di grande crescita, sia nel settore del turismo che quello della cultura, finalmente, dopo molti anni di trascuratezze, con maggiori investimenti pubblici e una generale maggiore attenzione. Con questa crisi tutti i decisori politici hanno capito fino in fondo, anche quelli più lontani per impegno e passione, quanto in Italia sia importante l'investimento in cultura, quanto l'immagine del Paese nel mondo sia legata alla sua offerta culturale e quanto siano più tristi le città con i teatri, cinema, musei, librerie chiuse. Questo ha consentito di avere risorse importanti per fronteggiare l'emergenza: 9 miliardi tra misure di carattere generali, applicate ai settori di cultura e turismo, e misure invece specifiche. Per la prima volta - ricorda - il settore ha avuto una politica di ammortizzatori sociali, cassa integrazione per i lavoratori dipendenti e misure dei 600 e 1.000 euro per i contratti intermittenti e stagionali. Misure che hanno consentito anche di censire le varietà di tipologie contrattuali esistenti e di capirne l'importanza numerica, i fatturati, i numeri delle imprese”. Una mappa tuttavia ancora incompleta che avrà bisogno di interventi sulle categorie Ateco, poiché gran parte di questo settore non emerge come dovrebbe, ha spiegato Umberto Croppi, direttore Federculture.
I numeri di un ventennio: 2000-2019
Come eravamo prima del coronavirus? I dati di Federculture dicono che la pandemia ha colpito molto duramente, ma fortunatamente nel momento in cui è arrivata la crisi già erano in essere tendenze non positive. L'analisi che il Rapporto dedica agli ultimi venti anni evidenzia una significativa riduzione delle risorse pubbliche per il settore culturale, principalmente da parte delle amministrazioni territoriali – Regioni, Province e Comuni – mentre tiene la spesa statale. Se nel 2000, infatti, complessivamente la spesa pubblica, statale e locale, per la cultura era pari a 6,7 miliardi di euro, nel 2018 (anno di confronto per disponibilità di dati) era scesa a 5,7 miliardi, un miliardo in meno; perso principalmente per il calo delle risorse di Comuni (-750 milioni, -27%), Regioni (-300 milioni, -23%), e Province (-220 milioni, -82%). Nel periodo, dopo una diminuzione nel primo decennio, risale invece lo stanziamento del MiBACT, grazie soprattutto ad un +48% dal 2010 al 2018. Una bassa spesa pubblica, dunque, che ci pone in fondo alle classifiche europee dove la media Ue dell'incidenza della spesa in cultura sulla spesa pubblica totale è del 2,5%, mentre noi siamo fermi all'1,6%.
La domanda di cultura cresce
A questo quadro in flessione delle risorse corrisponde una linea di tendenza della domanda non del tutto positiva. Infatti, i dati sulla fruizione culturale – cioè la dimensione interna della partecipazione dei cittadini e dei loro consumi - disegnano un andamento che, seppure in crescita nell'intero periodo, negli anni finali del ventennio considerato segna dei numerosi cali. Ne è un esempio il cinema che fino al 2010 era in crescita del 12,1%, ma nel periodo seguente perde il 6,1% di fruitori; o il teatro che tra 2010 e 2019 ha visto un calo dell'8,8%, e negli anni precedenti era cresciuto del 27,3%. Andamento simile anche per i fruitori di concerti di musica classica e di quella leggera che negli ultimi dieci anni considerati (2010-2019) sono diminuiti rispettivamente del 4,9% e del 4,7%, mentre crescevano del 22,5% e del 19,6% nel decennio precedente. Fanno eccezione gli ambiti della fruizione del patrimonio artistico e archeologico: i cittadini che visitano musei crescono del 21,5% in venti anni e del 7% dal 2010, così come quelli che frequentano siti archeologici e monumenti segnano un +36,8% tra 2001e 2019, +19,7% negli ultimi dieci anni. Un trend che può essere spiegato con l'intensa attività normativa e riformatrice che ha riguardato, in particolare negli anni più recenti, proprio il settore museale e del patrimonio, determinando cambiamenti e innovazioni che hanno dato impulso a questo ambito.
Il cambio di passo della governance
In venti anni di produzione legislativa, a partire dalla nascita delle Fondazioni e attraverso battute di arresto e slanci in avanti, Federculture registra la modifica delle politiche di gestione della cultura verso una maggiore autonomia, che oggi, non solo per la contingente emergenza, appare messa in discussione. Proprio su questi cambiamenti sta imprimendo un'accelerazione l'attuale fase di crisi che ha impattato molto pesantemente la cultura. Il settore deve fare i conti con scenari totalmente mutati e con un impossibile ritorno alla “normalità” pre-crisi, almeno nel medio periodo. Anche per le imprese della cultura è necessario, dunque, ripensare i modelli produttivi, le condizioni di sostenibilità, il rapporto con i pubblici, le modalità di offerta e fruizione di contenuti ed esperienze di visita.
L'impatto della crisi
Nei mesi di maggio e giugno 2020 Federculture ha somministrato ai propri associati un questionario sugli impatti della crisi da Covid-19 al quale hanno risposto 54 tra gli enti culturali più rappresentativi del settore nazionale, per lo più attivi nell'ambito espositivo e museale, 44%; e dello spettacolo, 41%, soprattutto del Centro e Nord del Paese e per la maggior parte Fondazioni, 52%. Attraverso le loro risposte si può disegnare un quadro abbastanza preciso di quello è accaduto in questi mesi: le chiusure forzate - anche senza considerare che in molti casi sono state nei fatti prolungate rispetto a quanto fissato nei decreti (per la maggior parte, l'80%, gli enti non hanno ripreso l'attività dopo il 18 maggio, Fase 2) - hanno determinato perdite rilevantissime. Oltre il 70% degli enti culturali ha stimato perdite di ricavi superiori al 40% del loro bilancio, ma il 13% prospetta perdite che superano il 60%. Pur in uno scenario tanto inedito quanto difficile, molti attori del comparto cultura hanno reagito veicolando la propria offerta tradizionale in forme del tutto nuove, anche lavorando in modalità leggera (in smart working per l'85% degli enti). Infatti, praticamente la totalità degli attori culturali, 80-100% a seconda dei settori, ha implementato i propri servizi a distanza. Inoltre, molte realtà hanno sperimentato anche la possibilità di offrire prodotti culturali nuovi ed innovativi per soddisfare da remoto la domanda di cultura dei cittadini. Specie nell'ambito museale, la produzione di visite virtuali, di dirette live o di programmi ad hoc, accessibili on demand, è andata ovunque ben oltre il 50% delle complessive proposte culturali fruibili a distanza. Quella nata, in un momento critico, come offerta suppletiva rispetto all'ordinario è stata percepita come un'offerta alternativa o, meglio ancora, come una declinazione aggiuntiva delle canoniche modalità di fruizione del prodotto culturale. Ben il 96% degli attori che hanno attivato servizi online relativi alla propria attività dichiarano, infatti, di essere intenzionati a mantenerli nel proprio palinsesto anche dopo il pieno superamento della crisi e l'auspicato ritorno alla normalità. Ma proprio riguardo le aspettative sull'uscita dalla crisi solo il 22% immagina un ritorno alla normalità, mentre il 50% prospetta una riduzione e ridefinizione delle proprie attività, e ben il 73% teme una riduzione di fondi.
Resistenza e resilienza
I protagonisti del settore culturale, convergono nell'indicare la necessità e l'urgenza di un'alleanza tra tutti gli attori in campo, per poter rilanciare il comparto e scongiurare il pericolo che, esaurite le misure tampone, si inneschi una spirale negativa che potrebbe portare alla perdita di un'inestimabile bene dal valore sociale, oltre che economico. Si tratta, dunque, di concretizzare politiche di ampio respiro e prospettiva: mettere a punto figure giuridiche innovative come l'impresa culturale, definire ed incentivare forme virtuose di parternariato pubblico-privato, sperimentare forme nuove e più efficienti di sostenibilità e di finanziamento delle politiche pubbliche. “Il Fondo per la cultura non rappresenta nè debito nè deficit - spiega Andrea Cancellato, presidente Federculture - la cultura non produce Npl: un euro di garanzia statale per l’industria produce 3 euro di finanziamento bancarie, mentre un euro di garanzie all’impresa culturale ne produce 5 perché è più credibile nella restituzione dei debiti. E poi ricordiamoci che nel 2015 l’apertura al pubblico dei luoghi della cultura è stato inserita tra i servizi pubblici essenziali, ora il Dpcm ne parla come attività accessoria, certo durante l’emergenza dobbiamo rinunciare a fruire dal vivo della cultura, ma non rappresenta qualcosa di aggiuntivo a cui si può rinunciare, ricordiamolo. La cultura è l'elemento chiave del nostro vivere in comunità e della coesione del nostro Paese, il fattore più rilevante della nostra formazione e della nostra
riconoscibilità.”
Le richieste
“Abbiamo, pur in piena tempesta, il dovere di guardare verso la fine di questo percorso per attrezzarci meglio alla cosiddetta “nuova normalità” prosegue Cancellato. A questo scopo indica una serie di interventi:
1. Attuare le indicazioni della Legge di Bilancio 2018 sulle imprese culturali e creative;
2. Mobilitare tutte le risorse possibili, pubbliche e private, a sostegno della cultura estendendo tutte le forme di agevolazioni fiscali (da Art Bonus alla defiscalizzazione del consumo culturale);
3. Inserire, come già indicato, nei programmi europei l'adeguamento infrastrutturale di tutti i luoghi della cultura (teatri, musei, biblioteche, etc) in modo da renderli sicuri e accoglienti per i visitatori, oltre che a favorire il miglior efficientamento energetico;
4. Sempre in campo di finanziamento europeo, prevedere una campagna di digitalizzazione di tutto il grande patrimonio archivistico delle nostre istituzioni culturali, al fine anche di consentire il lavoro di ricerca e di valorizzazione in remoto;
5. Dare corso al Fondo Cultura sia nella versione investimenti pubblici (compresi gli Organismi di tipo pubblico come le Fondazioni culturali), sia nella versione “fondo di garanzia” per le imprese culturali e creative che, a causa della crisi, non avrebbero le caratteristiche necessarie per poter attingere al credito (il famoso rating) indispensabile per poter progettare il futuro;
6. Prevedere una grande campagna di investimento per una nuova produzione culturale a livello nazionale, una sorta di chiamata alle armi dalle città ai borghi, che sia capace di rivitalizzare il Paese che uscirà stremato dalla pandemia.
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