Imprese e finanza alla grande sfida dell’impatto sociale
di R.Fi.
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Fare impresa e fare finanza guardando al suo impatto sociale. A tutti i livelli e in tutti i campi. Non certo una sfida da poco ma un nuovo paradigma, quello sì, che spinge società di settori diversi, da Reale Mutua a Lavazza, ad adottare nuovi approcci nella progettazione e nella gestione dei business. Il tema è al centro di una giornata di lavoro sul tema “Impactability” organizzata per il 27 giugno da Reale Mutua, in collaborazione con Torino Social Impact, nell’ambito della Italian Tech Week di Torino. L’obiettivo è ambizioso: superare il classico approccio legato alla responsabilità sociale di impresa o alla “semplice” filantropia, per integrare la sostenibilità in tutti i business di una impresa profit.
«Il processo sotteso all’innovazione sociale implica trasformazioni in grado di rispondere alle aspettative del mercato in modo più efficace e inclusivo» sottolinea Luca Filippone, direttore generale di Reale Mutua. «Grazie alla natura mutualistica che guida il nostro modo di fare impresa – aggiunge – vogliamo impegnarci affinché si possano raggiungere risultati concreti per la collettività e siamo consapevoli che fare sistema sia l’unico modo». Parla di un «nuovo umanesimo industriale» Marco Lavazza, vice presidente del Gruppo: «Ora più che mai la sfida è quella di lavorare in un mondo interconnesso, dove le nostre scelte possono contribuire a un impatto sociale positivo di portata globale, non solo per un’azienda come la nostra, attiva in 90 mercati». Essere un attore in grado di generare valore condiviso non è «un’opzione per continuare a fare del business: è il business».
Nell’economia reale e nella finanza dunque c’è grande interesse a confrontarsi con un approccio che porti in primo piano il tema dell’impatto. «Molte corporation lavorano per sviluppare forme di impatto sociale tanto avanzate da non essere distinte dal core» spiega Mario Calderini, docente della School of management del Politecnico di Milano. Nuovi modelli imprenditoriali, dunque, che le imprese hanno voglia di acquisire, spesso in un confronto serrato con il terzo settore. È il caso della Dynamo Academy, che dal 2010 ha supportato oltre 100 aziende. Anche le imprese sociali stanno adottando nuovi modelli innovativi grazie alla tecnologia, è il caso della Powercoders, accademia del coding per rifugiati, o di Kimap, il navigatore per persone con disabilità motoria. In finanza è caso scuola quello di OltreVenture, società di venture capital che ha lanciato in Italia il primo veicolo di Impact Investing (2006) e che oggi ha in portafoglio una ventina di aziende. Avere un impatto quantificabile a livello sociale, oltre che rendimenti finanziari, è anche lo scopo di Sefea Impact, società di gestione che ha come sfida la misurabilità dell’impatto sulla collettività. Un ruolo chiave lo hanno le fondazioni e le banche: molti istituti hanno creato divisioni ad hoc per dialogare con il Terzo settore innescando un circuito virtuoso. A fare da cornice all’iniziativa c’è Torino social impact, alleanza tra imprese e istituzioni pubbliche e private per sperimentare e attrarre strategie di sviluppo dell’imprenditorialità ad elevato impatto sociale ed intensità tecnologica nell’area metropolitana torinese. Ottanta i soggetti coinvolti.
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