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Imprese familiari, sulla formazione calano gli investimenti

Nel 2022-24 meno imprese pagano per corsi: il 74% contro il 78% del 2017-2019

di Marta Casadei

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2' di lettura

Nonostante i nuovi capitali reperiti magari con la quotazione in Borsa (si veda l’articolo in alto), le imprese familiari hanno una minore propensione a investire nella formazione rispetto al periodo pre Covid: nel triennio 2017-2019 il 78% delle aziende di proprietà familiare aveva investito in almeno una tipologia di formazione, mentre nel triennio attuale (2022-24) questa percentuale è scesa al 74 per cento.

Le imprese familiari perdono il confronto anche con le non familiari: nel caso di queste ultime, infatti, la percentuale di aziende che ha investito almeno in una tipologia di formazione nel biennio 2022-24 è pari all’81% (anche qui in calo, visto che nel 2017-19 era l’84%).

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I dati arrivano dall’indagine «Imprese familiari. Strategie, governance, organizzazione e politiche di formazione» condotta dal Centro studi delle camere di commercio Guglielmo Tagliacarne tra marzo e maggio 2022 su un campione di 4mila imprese tra i 5 e i 499 addetti del settore manifatturiero e dei servizi.

Ventaglio ristretto

Stringendo il focus sulle aziende che già investono in questo campo si osserva come le familiari, di fatto, tendano a investire in un numero minore di tipologie di formazione rispetto alle imprese non familiari: la percentuale di imprese controllate da famiglie che nel 2017-19 ha investito in tutte e quattro le tipologie di formazione - accrescimento delle competenze professionali già in possesso del personale (upskilling), nuove competenze (reskilling), intrapreneurship e formazione manageriale concentrata sui nuovi modelli di business - è la metà (27%) rispetto a quella delle imprese non familiari. Il divario si riduce (ma rimane importante) in riferimento al biennio 2022-2024:  31% contro 58 per cento.

«Bisognerebbe far capire alle aziende familiari, che fino a poco tempo fa erano considerate un “residuo del passato” ma in Italia rappresentano l’80-90% delle imprese, che la formazione manageriale non è accessoria, ma è strategica - spiega Gaetano Fausto Esposito, economista e direttore generale del centro studi Tagliacarne - ed è fondamentale soprattutto nel momento del passaggio generazionale».

Poca propensione a reskilling e intrapreneurship

La nota dolente riguarda soprattutto la formazione orientata a produrre cambiamenti: rispetto alle imprese non familiari investono meno in reskilling (il 52% contro il 66% nel caso delle non familiari), in intrapreneurship (35% contro 53%) e formazione manageriale per nuovi modelli di business (25% contro 43%).

A fare la differenza, sul fronte della formazione, può essere la leadership: le imprese familiari guidate da under 35 investono di più e con una particolare attenzione ai nuovi modelli di business: il 30% delle imprese giovanili ha investito e investirà in questa tipologia di formazione contro il 24% nel caso delle imprese non giovanili. Lo stesso vale per le aziende guidate da donne, più propense a investire nella formazione manageriale per nuovi modelli di business (28% vs 25%). «Ci aspettiamo un aumento di competitività e le imprese di capitalismo familiare per la loro matrice dovranno insistere su questo tipo di formazione e inserire quadri adeguati. La formazione è un pezzo di una più ampia politica sul capitale umano, uno dei fattori competitivi differenziali», conclude Esposito.

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