«Imprese mappamondo, nuova sfida organizzativa e opportunità di business»
Sociologo del lavoro all'università di Verona
di Barbara Ganz, Valeria Zanetti
3' di lettura
Giorgio Gosetti è sociologo del lavoro all'università di Verona ed è fra gli autori di una ricerca che, coordinata dall’Ismu di Milano, ha studiato il tema “inclusione e competenze migranti” nel mercato del lavoro. «Un progetto che ha coinvolto cinque ambiti regionali, uno dei quali il Veneto, durato più di tre anni. Possiamo dire che la chiave del progetto è nella parola contaminazione, nel senso di conoscere, accogliere, valorizzare le diversità». Parlando di aziende, la sostenibilità, oltre che umana, è anche economica: «I casi studiati riguardano imprese che lavoravano in mercati molti sfidanti e concorrenziali: la sostenibilità economica era un tema, ma lo era anche la sostenibilità sociale, vale a dire l’attenzione a una qualità del lavoro e della vita lavorativa». Vi sono in particolare alcune dimensioni - spiega il docente - su cui riflettere per comprendere i contesti organizzativi e orientare le imprese verso l’inclusività e la valorizzazione delle diversità: «In primo luogo l’attività di reclutamento, per capire già in fase di selezione le motivazioni e le specificità di chi entra nell’organizzazione. Se si tratta di persone migranti, il contesto dovrebbe fin dall’inizio prevedere figure di supporto, prevedendo esperienze di mentoring per accompagnare chi è appena entrato magari grazie a un connazionale già inserito, a una comunità di riferimento. Il tema è abbassare l’effetto traumatico che possono avere ritmi, tempi e abitudini non conosciute a chi arriva e magari ha una diversa concezione ed esperienza del lavoro. Ci sono esperienze interessanti anche in Veneto di imprese che sviluppano questa dimensione e si dimostrano abili nel comprendere le specificità e i bisogni delle persone migranti, quindi sono imprese che ascoltano». Anche perché - ed è un altro livello di azione - va tenuto presente che le popolazioni migranti «non sono una massa omogenea. In una fabbrica possiamo trovare fino a 30, 40 comunità di diversa provenienza: in questi casi siamo in presenza di contesto organizzativo che rappresenta un vero e proprio mappamondo, e vanno ascoltate le diversità e i bisogni di ciascuna popolazione». E ci sono imprese con una buona capacità di ascolto delle popolazioni lavorative. Ancora, alcune organizzazioni si sono interrogate sulla tipologia di lavoro: «Sappiamo che la popolazione migrante ha avuto un effetto sostitutivo e non concorrenziale rispetto alla popolazione locale: i migranti fanno i lavori che gli italiani non fanno più. Abbiamo individuato anche imprese però che stanno andando oltre questi presupposti e non impiegano il migrante solo come sostitutivo, ma iniziano a pensare a uno sviluppo e a percorsi di carriera anche a partire da competenze intangibili sviluppate proprio in virtù del percorso migratorio. Arrivando da situazioni di difficoltà, i migranti sviluppano competenze di orientamento spazio-temporale e di organizzazione. Inoltre, non di rado hanno anche buone conoscenze linguistiche. E in questo senso ci sono imprese che raccontano di avere aperto nuove aree di mercato all’estero grazie anche alle competenze linguistiche che hanno trovato al loro interno e che vanno portate a galla». Un quarto livello di azione è la dimensione organizzativa: «Le imprese che ci hanno dato le maggiori sollecitazioni sono quelle che hanno descritto un grande lavoro per rendere il contesto accogliente: pensiamo, ad esempio, alla riorganizzazione delle ferie per chi deve raggiungere i paesi di provenienza lontani, alla compatibilità con il credo religioso, ai permessi per esigenze personali. Non è banale dover riorganizzare l’attività produttiva quando un gruppo di dipendenti si assenta per periodi superiori alle canoniche due settimane». Infine, l’ultima dimensione, la più sfidante, «quella che cambia tutto: la cultura d’impresa. Il vero salto di qualità lo fanno le imprese che hanno alla base una cultura, un insieme di valori, che assegna importanza alle relazioni, e hanno apertura nei confronti dell’accoglienza delle diversità. Questo significa una strategia d’impresa che riconduce al diversity management. E le imprese sono pronte, talvolta anche più della società: abbiamo raccolto informazioni interessanti su realtà che sono più avanti rispetto al contesto di riferimento, tanto che minimizzano il racconto delle loro azioni, non comunicano quanto fanno al loro interno per non sentirsi chiedere: e per gli italiani cosa fai?».
loading...