Imprese, mina da 25 miliardi per la fine delle moratorie
La misura scade a dicembre, con il rischio di un impatto drastico sulle aziende a gennaio. Anche perché nessun altro strumento è stato messo in campo
di Laura Serafini
I punti chiave
3' di lettura
Il governo ha chiuso la delicata partita sulla manovra di bilancio legata alla distribuzione degli 8 miliardi destinata alla riduzione della pressione fiscale arrivando a ridosso della fine dell’anno. Un obiettivo raggiunto, tra i tanti che si è attribuito il premier nella conferenza stampa prima di Natale.
Peccato che sia rimasto fuori un capitolo a dir poco cruciale, così cruciale da aver salvato, con le garanzie pubbliche sui prestiti, il paese dal disastro nel 2020 assicurando che le imprese continuassero ad avere liquidità nonostante i lockdown.
A due anni di distanza la pandemia è ancora lì, anche se questa volta a portare contraccolpi sul tessuto produttivo (disdette prenotazioni, di voli, di ordini per pranzi e cene, ma anche individui che non possono andare a lavorare) non sono le chiusure ma l’elevato numero di persone finite in quarantena.
La fine delle moratorie, mina da 25 miliardi sulle imprese
La legge di bilancio nella versione approvata ha mantenuto l’impianto pensato a fine estate, quando si riteneva che i vaccini avrebbero accompagnato il paese fuori dall’emergenza. Così per fine dicembre è stata prevista la fine delle moratorie per le imprese: ne sono ancora in piedi per 56 miliardi, di cui 43 miliardi per imprese.
Per i prestiti garantiti, in particolare quelli coperti dal Fondo per le Pmi, da gennaio è prevista una riduzione delle garanzie dal 90 al 80% per i finanziamenti destinati alla liquidità entro i 30 mila euro. E l’introduzione di una commissione da pagare per tutte le garanzie.
L’impatto più forte e immediato si vedrà da gennaio. Un mese fa il vice presidente di Confindustria Emanuele Orsini aveva lanciato l’allarme: l’associazione delle imprese prevede a fine anno che su almeno 25 miliardi di prestiti rispetto a 43 miliardi di moratorie alle imprese in essere non potranno riprendere i pagamenti. L’aspetto più inquietante è che nessuno degli strumenti auspicati dall’Associazione bancaria per continuare a supportare le imprese nonostante la fine delle sospensioni sia stato messo in campo.
Il decreto liquidità varato nel 2020 prevedeva all’articolo 13 lettera e) del comma 1 la garanzia sulle operazioni di ristrutturazione; questa assicurazione sui finanziamenti alle imprese che rinegoziano il debito allungando la scadenza e riducendo la rata (strumento efficace per supportare chi esce dalla moratoria) non è stata prevista dalla legge di bilancio.
Quindi chi non potrà riprendere i pagamenti a gennaio, senza la garanzia difficilmente si vedrà erogare nuova finanza. Non solo: un altro strumento utile sarebbe la garanzia Sace a condizioni di mercato, prevista anch’essa dal decreto liquidità. Per attivarla serve un decreto interministeriale tra Sviluppo Economico ed Economia: lo strumento deve essere negoziato con Bruxelles per valutare la compatibilità con gli aiuti di Stato. Da mesi il confronto va avanti ma a quanto pare è ancora in alto mare.
Mancano strumenti efficaci, attività produttive a rischio
La mancanza di strumenti efficaci in un contesto in cui la pandemia sta rimettendo a rischio le attività produttive sta creando molta preoccupazione tra le associazioni di categoria, quella bancaria ma soprattutto le associazioni imprenditoriali. Il contesto è reso ancora più arduo da fattori nuovi, come la ripresa dell’inflazione e, in particolare, l’aumento del prezzo dell’energia, che si sommano alle difficoltà della supply chain e del reperimento di materie prime e materiali per le produzioni.
L’interrogativo che molti si pongono è per quale motivo non sono state apportate modifiche alla legge di bilancio nonostante da settimane sia stato sollevato il problema da parte delle associazioni di categoria mentre l’aumento dei contagi è sotto gli occhi di tutti da settimane. Gli strumenti per riportare l’orologio indietro e ripristinare gli aiuti che sono tuttora previsti fino a a fine mese ci sono.
La Commissione europea a novembre ha prorogato tutte le misure del Temporary Framework in deroga alla normativa sugli aiuti di Stato, consentendo ai governi dei singoli Stati tutta la flessibilità per gestire in autonomia l’utilizzo degli strumenti ritenuti più opportuni.
È evidente che lasciare immutate le misure ora in campo (a parte le moratorie, destinate comunque a terminare) determina un onere a carico delle casse pubbliche più elevato rispetto a una riduzione progressiva delle garanzie. Peraltro per le garanzie Sace (sinora 30 miliardi garantiti contro i 200 miliardi del fondo Pmi) è prevista una proroga tout court fino a fine giugno.
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