Imprese per una nuova cultura del cibo
di Piero Formica
3' di lettura
«I cacciatori del Paleolitico che impararono a uccidere due mammut invece di uno avevano fatto progressi. Quelli che impararono a ucciderne duecento, facendo cadere un’intera mandria da una scogliera, avevano fatto troppo. Hanno vissuto in alto per un po’, poi sono morti di fame», scrive Ronald Wright nella sua breve storia del progresso. E aggiunge, citando il poeta Wystan Hugh Auden: «Una cultura non è migliore dei suoi boschi. Le civiltà hanno sviluppato molte tecniche per far produrre più cibo alla terra – alcune sostenibili, altre no. La lezione che ho assimilato è questa: che la salute della terra e dell’acqua – e dei boschi, che sono i custodi dell’acqua – può essere l’unica base duratura per la sopravvivenza e il successo di qualsiasi civiltà».
Nella nostra età della conoscenza, prima delle risorse animate – dalla forza delle braccia e dalla resistenza dei cavalli da tiro alle macchine e attrezzature – sono le risorse dell'intelletto umano a muovere, mutandoli, i processi produttivi. Se consideriamo che tra circa trent'anni saremo dieci miliardi di abitanti al mondo e avremo bisogno di produrre almeno il 70% in più di cibo, ci si aspetta una profonda innovazione nella produzione del cibo, una produzione che attualmente non si concilia con la salvaguardia del patrimonio naturale.
I consumatori che evolvono verso modelli di consumo nel segno del ben-essere e del ben-stare cercano di costruire un ponte tra ciò che è appare buono da mangiare e ciò di cui è bene nutrirsi. Rispetto allo stomaco, è la testa che riprende a governare le loro scelte. Dalla Cina e dall'India al Brasile, una classe media in rapida espansione ha esposto a un forte stress il sistema globale delle risorse naturali e di quelle create dall'agricoltura. Per ogni 1 per cento di aumento nel tasso di urbanizzazione della nazione, la Cina deve aggiungere circa 300 a 400 milioni di metri quadrati di abitazioni, consumare circa 1.800 chilometri quadrati di terra, pompare 140 milioni di metri cubi di acqua potabile, generare 640 milioni di kilowatt di energia, e smaltire 1,14 miliardi di metri cubi di acque reflue ogni anno.
A risolvere siffatti problemi si trovano in prima fila i giovani che vedono compromesso il loro futuro di ben-essere. Idee e pensieri originali che conducono all'imprenditorialità permeano la vita di tanti giovani. Secondo un sondaggio condotto da EY Ripples e JA Worldwide su circa 6.000 giovani nati tra il 1997 e il 2007, il 53% spera di gestire una propria attività nei prossimi dieci anni. Questa percentuale sale al 65% per coloro che sono già entrati nella forza lavoro. La loro intenzione è di riformulare il modo in cui operano il business e l’istruzione. Sono questi giovani che cercando soluzioni basate sulla natura per una crescita ‘verde' agiscono imprenditorialmente a tutto campo tra le scienze della vita e le scienze della terra. Le imprese così fondate si raggruppano in comunità di startup alimentari che creano lavoro economicamente sostenibile e orientato verso un futuro ecologico. L'economista svedese Thomas Andersson ha ricostruito insieme ai suoi colleghi storie imprenditoriali che raccontano come coltivare e ripristinare le risorse naturali in modo sostenibile. In Brasile, l'imprenditoria basata sulla natura progetta “foreste tascabili”. A San Paolo, un’azienda privata ha finanziato l’implementazione di una tale foresta di fronte al suo principale edificio di uffici su un viale molto visibile ai margini del fiume Pinheiros.
Alla condivisione delle opportunità offerte da innovazioni che fanno compiere un salto di qualità alle nostre esperienze di consumatori alimentari, molto contribuisce il dialogo collaborativo tra esperti dell’agricoltura e dell’industria alimentare, imprenditori delle diverse filiere, investitori, leader intellettuali e i media. Un dialogo per riorchestrare l'istruzione e la ricerca con ricadute di imprenditorialità tali da generare ricchezza nel ben-essere.
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