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In campo tecnologico l’innovazione giuridica passa dal contratto

Gli Nft (non fungible token) sono al centro di un dibattito non solo nel mondo dell’arte, ma soprattutto in quello del diritto

di Giusella Finocchiaro e Oreste Pollicino

(FAMILY STOCK - stock.adobe.com)

4' di lettura

Gli Nft (non fungible token) sono al centro di un dibattito non solo nel mondo dell’arte, ma soprattutto in quello del diritto. È all’incrocio tra il mondo della tecnologia e delle leggi che sorgono, come è accaduto in passato, nuovi problemi giuridici.

È un dialogo, quello fra diritto e tecnica, che ha illustri protagonisti, dal noto confronto fra Irti e Severino.

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Si tratta in molti casi di ripensare le categorie giuridiche tradizionali e questo processo incomincia dall’acquisirne consapevolezza piena. È, in fondo, quanto è stato fatto in passato per il concetto di firma, che ha dovuto adattarsi alla firma digitale, o per il diritto alla protezione dei dati personali, che oggi si declina sempre più nell’onlife (Floridi).

Analogamente, cosa significa oggi avere la proprietà di un’opera digitale? È corretto parlare ancora di proprietà? L’opera digitale, quale che sia, (audio, video, installazione) può, per sua natura, essere duplicata. Spesso ci si è chiesti come individuare l’originale o, più correttamente, ciò che è funzionalmente equivalente all’originale nel mondo digitale.

Gli Nft, essendo non fungibili, consentono – per la parte tecnologica – di rispondere a questo problema, cioè consentono di associare a un’opera digitale univocamente identificata, un soggetto.

In realtà può trattarsi di qualunque tipo di documento: una foto, un video, un testo, un’opera d’arte digitale, una riproduzione di un’opera d’arte. Il Codice dell’amministrazione digitale, ma ancora prima la riflessione giuridica sul documento, ci hanno insegnato che il documento non è solo un foglio di carta firmato, contrariamente al comune sentire.

Gli Nft si servono della tecnologia blockchain, cioè di quello che può essere descritto come un registro digitale non modificabile, nel quale sono iscritte le transazioni digitali. Nel mondo dell’arte, gli Nft sono utilizzati per identificare in modo univoco un’opera e di conseguenza per attestare che chi detiene l’Nft vanta un diritto su quell’opera. L’espansione degli Nft ha prodotto la nascita di un mercato nuovo, quello delle opere d’arte digitali, dai Cryptokitties, i famosi gattini virtuali, a Everydays: The First 5000 Days di Beeple venduta per 69 milioni di dollari da Christie’s. Chi detiene l’Nft vanta un diritto sull’opera, univocamente identificata: ma quale?

Questo non dipende dalla tecnologia, ma dal diritto. E, come è noto, se si parla di opere d’arte e di diritto d’autore, il primo interrogativo concerne il diritto nazionale applicabile, nell’ambito delle convenzioni internazionali.

Occorre poi verificare e disciplinare i diritti oggetto della transazione. Non necessariamente si tratta di “proprietà” dell’opera d’arte, e anche il termine “proprietà”, utilizzato nell’ambito delle opere d’arte è ambiguo. Questo è l’ambito nel quale convivono le norme sulla proprietà e sul contratto, da un lato, e quelle sul diritto d’autore, dall’altro, in un dialogo necessario
e talora in contrapposizione.

Chi è titolare di Nft su un’opera d’arte ha il diritto di farla circolare e di cedere i diritti che ha. Ma se abbia il diritto di riprodurla (dichiarando che di riproduzione si tratta) o di esporla, o di utilizzarla in contesti differenti da quelli per i quali è stata creata, dipende anche dal contratto concluso con l’artista, come accade fuori dal digitale. Nel digitale, il contratto potrà anche essere, ovviamente, uno smart contract.

Dunque l’Nft garantisce e certifica che l’opera digitale sia unica e associata a un soggetto che detiene il token. I suoi diritti sono altrimenti disciplinati,
tenendo conto delle molte norme applicabili.

Gli Nft associati alle opere d’arte hanno aperto il mercato delle opere create direttamente in forma digitale, dal momento che ora se ne può garantire l’unicità e l’associazione con un soggetto che è titolare di alcuni diritti di utilizzazione dell’opera, da disciplinare, però, con un apposito contratto. Ma non soltanto. Gli Nft hanno anche introdotto nuove opportunità di valorizzazione delle opere in forma materiale già esistenti. Le riproduzioni di esse in forma digitale possono circolare in un numero predefinito di esemplari, in “tiratura limitata”, per così dire, e autenticate. Ciò può valorizzare l’opera d’arte materiale da cui sono tratte e valorizzare il patrimonio culturale, pubblico e privato. A patto che non si commetta l’errore di ritenere che la tecnologia risolva tutti i problemi giuridici. Questo è oggi purtroppo un errore abbastanza comune, perché si tende a dimenticare che la neutralità della tecnologia rimane una caratteristica essenziale di quest’ultima. Occorre muovere dalle categorie tradizionali del diritto per capire in che modo possano adattarsi alle novità tecnologiche. Né può portare a risultati utili richiedere a gran voce nuove regole per ogni nuova tecnologia. Si finirebbe per cristallizzare le regole, riferendole solo alle tecnologie che non possono più evolvere e, in questo modo, creare nuovi ostacoli giuridici allo sviluppo tecnologico e economico. Oltre a finire con l’aggravare un cronico ritardo del diritto. Dunque, la tecnologia va inserita nel contesto giuridico proprio e, in questo caso, come i grandi Maestri (Galgano) insegnano, lo strumento di innovazione non può che essere il contratto.

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