In cima all'Everest: la storia dell'alpinismo è scritta sulle pareti degli Ottomila
In ogni spedizione in alta montagna occorre l'attrezzatura giusta e una perfetta sincronizzazione dei tempi di salita, permanenza e discesa.
di Paco Guarnaccia
2' di lettura
La conquista dell'Everest, con i suoi 8.848,45 metri di altezza, ha segnato in modo indelebile la storia dell'alpinismo che, come tutte le storie che riguardano l'uomo alle prese con la natura estrema, è costellata di esiti positivi, ma anche di fallimenti. Per arrivare al primo successo lassù si è dovuto aspettare il 29 maggio del 1953. Quel giorno finalmente una spedizione inglese ce la fece con due suoi componenti, il neozelandese Sir Edmund Hillary e lo sherpa nepalese-indiano Tenzing Norgay.
Dopo aver scalato la montagna dal versante sud lungo la cresta sud-est i due toccarono il punto della terra più vicino al cielo e, in segno di ringraziamento, lasciarono una croce (Hillary) e biscotti e cioccolato (Norgay). In tutto si fermarono in cima per circa 15 minuti. Come lo si sa con tanta precisione? La risposta è si trova nell'attrezzatura in dotazione nella quale c'erano (come già successo precedentemente in almeno altre 17 spedizioni in alta montagna) degli orologi Oyster di Rolex che confermarono la loro resistenza in condizioni estreme.
Infatti, al ritorno da quella storica avventura il suo organizzatore, il colonnello dell'esercito britannico Sir John Hunt, scrisse a riguardo: «Hanno funzionato magnificamente e siamo giunti a considerare i Rolex Oyster una parte fondamentale dell'attrezzatura per la scalata. Hanno dimostrato ancora una volta la loro affidabilità sull'Everest e siamo stati molto felici che abbiano segnato il tempo in modo così preciso da poter garantire che la sincronizzazione dei tempi tra tutti i componenti della spedizione fosse mantenuta».
Dopo una tale investitura conquistata sul campo, lo stesso anno la Casa della Corona lanciò un orologio che, fin dal nome, testimoniava ulteriormente il suo rapporto con le esplorazioni: l'Oyster Perpetual Explorer (noto come Explorer), un modello dalla cassa di 36 mm di diametro. Dimensioni che oggi Rolex ha riproposto in una nuova generazione di segnatempo di questa collezione. In due versioni. La prima presenta una cassa impermeabile fino a 100 metri di profondità in acciaio Oystersteel con lunetta in oro Rolesor giallo di 18 carati. Gli stessi materiali utilizzati anche sul bracciale bicolore Oyster a tre file (oro al centro, acciaio ai lati). Essendo un Explorer, il quadrante laccato nero non può che rispondere a dei codici fondamentali per renderne la lettura immediata: gli indici, i numeri e le lancette sono in oro giallo con inserti in Chromalight (al buio crea un effetto di colore blu) per una lettura del tempo migliore anche in condizioni di scarsa visibilità. Il movimento di questi Explorer è il calibro Perpetual 3230 a carica automatica lanciato nel 2020). Nella seconda versione, invece, le parti metalliche sono tutte in acciaio Oystersteel.
Tra le novità dell'anno, Rolex ha anche dedicato due nuovi modelli al suo Explorer II, orologio lanciato per la prima volta nel 1971, più imponente rispetto all'Explorer tradizionale e con l'aggiunta di una lancetta supplementare per segnalare un secondo fuso orario. Gli ultimi Explorer II hanno cassa e bracciale in acciaio di 42 mm di diametro, quadrante laccato bianco o nero (a seconda della declinazione) e il movimento automatico calibro Perpetual 3285. La saga di Rolex nell'esplorazione del tempo continua.
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