verso il voto

In Germania torna il timore dell’Italia «cicala»

di Isabella Bufacchi

(AFP)

3' di lettura

FRANCOFORTE - «Questa è la Germania più europeista degli ultimi venti anni. Non vedevo una linea politica così pro-Ue in un governo tedesco dai tempi di Kohl». Questo spassionato commento di un alto dirigente tedesco di un'istituzione europea (che preferisce mantenere l'anonimato) si riferisce alle prime tre pagine del documento dell'accordo preliminare siglato nei giorni scorsi da Cdu/Csu e Spd: un programma spiccatamente pro-Europa, dove troneggia la carota e si intravede il bastone diversamente da quanto è solita fare la Germania.

Un europeismo che rischia di infrangersi sullo scoglio di un’Italia con 2.300 miliardi di debito pubblico che post-elezioni incarni il peggior incubo per l’elettorato tedesco: un governo italiano che non ne vuole sapere di rispettare le regole europee, e che ha promesso ai suoi elettori di spendere di più e indebitarsi di più.

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Il problema è che l’intenzione espressa in quelle tre pagine di accordo preliminare sulla “GroKo” (Grosse Koalition) di procedere a passo spedito sull’evoluzione dell’Unione europea - tutta da verificarsi al momento della stesura del documento finale - è il risultato precario di un compromesso politico raggiunto faticosamente da tre partiti litiganti. Non è ancora un vero e proprio programma di governo, anche se potrà diventarlo. La grande coalizione tedesca è in divenire ma in Germania si teme che il suo destino possa intreccersi pericolosamente con le elezioni in Italia. Qual è il pericolo? Che l’esito della chiamata alle urne in Italia materializzi un timore esteso tra gli elettori tedeschi: non tanto un Paese che vuole uscire dall’euro (nessun partito italiano oramai lo dice più sbattendo il pugno sul tavolo anche se per i tedeschi estremisti sarebbe una soluzione): piuttosto un’Italia “spendacciona” che resta dentro l’Eurozona e si fa proteggere dal grande scudo europeo senza volerne rispettare le regole. Primo tra tutti il Fiscal compact e il percorso di riduzione del debito pubblico.

Quelle tre pagine di accordo preliminare “GroKo”, infatti, non devono ingannare. Dalla creazione dell’euro l’elettorato tedesco, che sia di centrodestra o di centrosinistra, ha sempre temuto visceralmente di dover pagare con i soldi dei contribuenti il debito pubblico degli altri Stati membri. Per questo nell’Eurozona finora tutto si è fermato sulla soglia del risk sharing: gli acquisti dei titoli di Stato nel Qe della Bce sono effettuati per il 92% dalle banche centrali nazionali sui propri titoli di debito e la garanzia unica europea sui depositi bancari non va avanti, per menzionare solo due casi eclatanti.

Senza peli sulla lingua il “falco” Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, rivolgendosi nei giorni scorsi al Club internazionale dei giornalisti economici a Francoforte ha rilanciato l’idea dell’haircut sui titoli di Stato con ristrutturazione, per ribadire il concetto del “no bail-out” per le finanze pubbliche fuori controllo. La Buba il prossimo mese pubblicherà i nuovi calcoli su quanto i Paesi dell’Eurozona abbiano risparmiato in spesa per interessi sul debito dal 2007 al 2017: dal 2008 al 2016 il risparmio è stato pari a mille miliardi di euro, il 9% circa del Pil dell’Eurozona (cosa si sarebbe pagato se i tassi fossero rimasti fermi al 2007). Italia in cima, mette a nudo la Buba. Il “numerone” serve al messaggio: il crollo degli interessi è una finestra di opportunità che va colta,per accelerare le rifome strutturali e il calo del debito/Pil. Proprio ieri una proposta lanciata da un gruppo di illustri economisti franco-tedeschi, capitanati guarda caso dal falco Clemens Fuest (Ifo Institute e Università di Monaco), ha riportato a galla gli accountability bond (titoli di Stato junior subordinati) per i Paesi con deficit eccessivo, o la ristrutturazione del debitopubblico con allungamento delle scadenze, o l’accantonamento di capitale sull’esposizione al rischio sovrano delle banche.

Insomma, la fobia sul debito pubblico italiano è diffusa nell’elettorato tedesco, infervorata da una buona fetta della stampa tedesca e argomentata da alcuni alti circoli intellettuali: gli slogan della campagna elettorale in Italia la alimentano. Se poi la grande coalizione italiana dovesse confermare le peggiori paure della Germania, minando il rapporto tra solidarietà e responsabilità, l’europeismo ai massimi storici sbandierato dal debole Spd nell’accordo preliminare rischierebbe di essere ammainato dalla “GroKo” finale.

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