ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùIndagine Save the Children

In Italia 336mila bambini e adolescenti tra i 7 e i 15 anni hanno avuto esperienze di lavoro, quasi 1 minore su 15

Il fenomeno del lavoro minorile, che rimane in Italia per lo più sommerso in assenza di rilevazioni statistiche ufficiali, investe soprattutto i settori della ristorazione, del commercio, i lavori agricoli e in cantiere. Emergono anche nuovi ambiti lavorativi, come quelli legati al mondo digitale

Allarme Save the Children: in Italia quasi 1 minore su 15 ha avuto esperienze di lavoro

5' di lettura

In Italia 336mila minorenni tra i 7 e i 15 anni hanno avuto esperienze di lavoro, continuative, saltuarie o occasionali - il 6,8% della popolazione di quell'età, quasi 1 minore su 15. Tra i 14-15enni che dichiarano di svolgere o aver svolto un'attività lavorativa, un gruppo consistente (27,8%) ha svolto lavori particolarmente dannosi per i percorsi educativi e per il benessere psicofisico, perché svolti in maniera continuativa durante il periodo scolastico, oppure svolti in orari notturni o, ancora, perché percepiti dagli stessi intervistati come pericolosi. Dalle stime effettuate si tratta di circa 58mila adolescenti. A scattare la fotografia di un problema che, in quanto fenomeno globale, non risparmia nemmeno l’Italia è Save the Children.In Italia la legge stabilisce la possibilità per gli adolescenti di iniziare a lavorare a 16 anni, avendo assolto l'obbligo scolastico .

L’occasione è data da una nuova indagine nazionale, “Non è un gioco”, presentata oggi martedì 4 aprile a Roma alla presenza, tra gli altri, di Marina Elvira Calderone, ministra del Lavoro e delle Politiche sociali, a dieci anni di distanza dalla presentazione dell'ultima ricerca sul lavoro minorile in Italia. Il documento evidenzia come il coinvolgimento di ragazzi e ragazze in attività lavorative prima dell'età consentita per legge (16 anni) sia ancora diffuso nel nostro Paese. Tra i 14-15enni, 1 su 5 lavora o ha lavorato e, tra questi ultimi, più di uno su 10 ha iniziato a lavorare a 11 anni o prima. Tra i ragazzi del circuito della giustizia minorile l'incidenza è ancora più alta: più di un intervistato su 3 lavorava prima dell'età consentita. Nel periodo in cui lavorano, più della metà degli intervistati lo fa tutti i giorni o qualche volta a settimana e circa 1 su 2 lavora più di 4 ore al giorno. «Per molti ragazzi e ragazze in Italia - ha sottolineato Claudio Tesauro, Presidente di Save the Children - l’ingresso troppo precoce nel mondo del lavoro, prima dell'età consentita, incide negativamente sulla crescita e sulla continuità educativa, alimentando il fenomeno della dispersione scolastica. Sono ragazzi che rischiano di rimanere ingabbiati nel circolo vizioso della povertà educativa, bloccando di fatto le aspirazioni per il futuro, anche sul piano della formazione e dello sviluppo professionale, con pesanti ricadute anche sull'età adulta».

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Interessati i settori della ristorazione, del commercio, dei lavori agricoli e in cantiere

I settori prevalentemente interessati dal fenomeno del lavoro minorile sono la ristorazione (25,9%) e la vendita al dettaglio nei negozi e attività commerciali (16,2%), seguiti dalle attività in campagna (9,1%), in cantiere (7,8%), dalle attività di cura con continuità di fratelli, sorelle o parenti (7,3%) . Ma emergono anche nuove forme di lavoro online (5,7%), come la realizzazione di contenuti per social o videogiochi, o ancora il reselling di sneakers, smartphone e pods per sigarette elettroniche.

Il nesso tra il lavoro e la giustizia minorile

Nello studio dell'Organizzazione è stata indagata anche la relazione tra lavoro e giustizia minorile, mettendo in luce un forte legame tra esperienze lavorative troppo precoci e coinvolgimento nel circuito penale. Quasi il 40% dei minori e giovani adulti presi in carico dai Servizi della Giustizia Minorile – più di uno su 3 - ha affermato di aver svolto attività lavorative prima dell'età legale consentita. Tra questi, più di un minore su 10 ha iniziato a lavorare all'età di 11 anni o prima e più del 60% ha svolto attività lavorative dannose per lo sviluppo e il benessere psicofisico.

Le rilevazioni del fenomeno in Italia

I minori che lavorano prima dell'età legale consentita rischiano di compromettere i loro percorsi educativi e di crescita. Come certifica l'Istat, la quota dei giovani 18-24enni “dispersi”, ovvero che escono dal sistema di istruzione e formazione senza aver conseguito un diploma o una qualifica, nel 2021 era pari al 12,7% del totale , contro una media europea del 9,7% . Il lavoro minorile può anche influenzare la condizione futura di giovani Neet - Not in Education, Employment, or Training, alimentando la trasmissione intergenerazionale della povertà e dell'esclusione sociale. I ragazzi e le ragazze di età compresa tra 15 e 29 anni in questa situazione in Italia sono più di 1 milione e 500mila nel 2022, il 19 % della popolazione di riferimento, con un valore in Europa secondo solo a quello osservato in Romania . La crisi economica e l'aumento della povertà in Italia - sono 1 milione 382 mila i minori che vivono in povertà, il 14,2% del totale - rischiano di far crescere il numero di minori costretti a lavorare prima del tempo, spingendone molti verso le forme di sfruttamento più intense. Tuttavia, la mancanza in Italia di una rilevazione statistica sistematica sul lavoro minorile non consente di definirne i contorni e intraprendere azioni efficaci di contrasto al fenomeno.

I motivi alla base della scelta di lavorare

La ricerca si basa su un'indagine quantitativa condotta in collaborazione con la Fondazione di Vittorio su un campione probabilistico rappresentativo della popolazione di studenti iscritti al biennio della scuola secondaria di II grado . La maggioranza dei minori che dichiara di aver lavorato durante l'ultimo anno o in passato ha iniziato dopo i 13 anni (53,8%), il 6,6% prima degli 11 anni. Circa due terzi dei minorenni che hanno sperimentato forme di lavoro sono di genere maschile (65,4%) e il 5,7% ha un background migratorio. Tra i motivi che li spingono a intraprendere percorsi di lavoro ci sono l'avere soldi per sé (56,3%), la necessità o volontà di offrire un aiuto materiale ai genitori (32,6%); non trascurabile è la quota (38,5%) di chi afferma di lavorare per il piacere di farlo. Il livello di istruzione dei genitori, in particolare della madre, è significativamente associato al lavoro minorile. La percentuale di genitori senza alcun titolo di studio o con la licenza elementare o media è significativamente più alta tra gli adolescenti che hanno avuto esperienze di lavoro, un dato che deve far riflettere sulla trasmissione intergenerazionale della povertà e dell'esclusione.

I quattro focus a Napoli, Ragusa-Vittoria, Prato e Treviso

In parallelo alla ricerca quantitativa sono stati realizzati approfondimenti di stampo qualitativo per raccogliere le voci di chi conosce il fenomeno e lavora per prevenirlo e contrastarlo, organizzando 4 focus group in territori ritenuti di particolare interesse, ovvero Napoli, Ragusa-Vittoria, Prato e Treviso. In tutti i territori indagati risulta diffusa la preoccupazione per la dispersione scolastica (anche implicita), in crescita a seguito della pandemia e per la difficoltà del sistema scolastico italiano nel mettere in campo interventi tempestivi, che interessino la didattica in chiave realmente innovativa. L'urgenza di dotarsi di un sistema di monitoraggio del fenomeno è sollevata da più parti, come pure la necessità di immaginare metodi di tracciamento dei percorsi di giovani – specie i minori non più in obbligo – fuoriusciti dal sistema scolastico e difficilmente intercettabili dalla rete dei servizi sul territorio. Inoltre, un gruppo di 25 adolescenti tra i 15 e i 21 anni individuati nell'ambito dei progetti promossi da Save the Children e/o da altre organizzazioni è stato coinvolto secondo la metodologia della “ricerca tra pari” (peer research) a Palermo, Scalea, Roma e Torino, realizzando indagini a livello territoriale sul fenomeno del lavoro minorile tra i coetanei, tramite interviste singole o di gruppo e video reportage, che hanno consentito di raccogliere un insieme di casi e storie che restituiscono la grande eterogeneità delle situazioni legate al fenomeno. Molti i racconti che parlano di minorenni che combinano la frequenza scolastica con l'attività lavorativa, che in qualche caso è del tutto residuale, non motivata da una necessità economica. In altri casi invece è il lavoro ad avere la meglio sui percorsi scolastici e/o formativi: i ragazzi intervistati testimoniano situazioni di seria urgenza economica e percorsi educativi segnati da insuccessi, senso di estraneità, sfiducia e abbandono.


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