In piazza contro la repressione, la Russia di Navalny sfida Putin
Dall’Estremo Oriente russo fino a Mosca manifestano i sostenitori dell’attivista anti-corruzione: gli arresti sono già centinaia
di Antonella Scott
5' di lettura
Decine e decine di persone fermate, prima ancora che l’onda della protesta convocata da Aleksej Navalny nelle città della Russia arrivasse nella capitale. Vladivostok, Khabarovsk, perfino a Yakutsk con 50° sotto zero: è nell’Estremo Oriente russo che i sostenitori del grande accusatore del Cremlino sono scesi in piazza per primi chiedendo il suo rilascio. E poi via via lungo l’arco dei fusi orari la protesta si è accesa altrove, Ekaterinburg, Nizhnij Novgorod, Omsk, Pietroburgo.
Giovani, ma non solo. Con o senza mascherina, in tasca il passaporto e le raccomandazioni diffuse dagli organizzatori alla vigilia: cosa portare in manifestazione, come evitare provocazioni, come comportarsi in caso di arresto. Molti mostrano una fotografia di Navalny con la scritta “Uno per tutti, tutti per uno”. Un altro a Mosca invece ha una foto di Putin, è lui dietro le sbarre: “Navalny libero!”, grida un ragazzo cercando di tenere alto il suo cartello mentre lo portano via.
A Mosca le autorità hanno fatto barricare piazza Pushkin, sperando di disperdere la protesta ancor prima dell’inizio, inutilmente. Gli Omon, agenti delle forze antisommossa, trascinano via i manifestanti circondati da un muro di telefonini che li riprendono. Video che in parte andranno ad alimentare la partecipazione dei social networks, in parte verranno sfruttati invece dai trolls che stanno proliferando tra TikTok e dintorni per screditare gli oppositori del regime. Anche Yulia Navalnaya, la moglie dell’attivista anti-corruzione, viene portata via e posta su Instagram la propria foto: «Scusate la qualità bassa, la luce è pessima qui dentro». Molti, nei giorni scorsi, si aspettavano che la donna da sempre al fianco di Navalny avrebbe ora assunto un ruolo più attivo.
Navalny è rinchiuso in carcere nella capitale in attesa di processo dal 17 gennaio scorso, arrestato al rientro dalla Germania dove è riuscito a superare l’avvelenamento - Novichok, secondo i laboratori militari tedeschi - che, denuncia, è stato ordinato da Vladimir Putin. Perché è tornato?
È la domanda più frequente. Per proseguire la missione che si è dato, rispondono i suoi: far cadere un regime corrotto. Navalny è probabilmente convinto di poter essere più credibile dall’interno del Paese, piuttosto anche dal carcere, dando l’esempio per primo. Moltissimi oppositori hanno accettato l’esilio, lui è tornato.
Ma quanti russi stanno dalla parte di Aleksej Navalny, e quanti da quella di Vladimir Putin? In un Paese a cui è negato un normale dibattito politico, e in cui l’attivista dell’opposizione non ha mai avuto la possibilità di misurarsi con il presidente al voto, avere una risposta precisa è impossibile. Bisognerà per ora accontentarsi di contare, oggi, quanti russi avranno avuto il coraggio di affrontare freddo, pandemia e la prospettiva di essere arrestati pur di esprimere appoggio all’uomo che, sopravvissuto al tentativo di eliminarlo avvelenandolo, è tornato in patria al prezzo della libertà.
«Scendete in piazza, è di questo che hanno paura - ha detto Navalny ai suoi sostenitori nel giorno dell’arresto -. Non fatelo per me, ma per il vostro futuro».
Un futuro lontano. A guidare i giovani che sui social hanno dato la propria adesione per ritrovarsi alle 14 di oggi (mezzogiorno in Italia) nelle vie principali di 70 città russe non ci saranno Navalny e neppure i suoi collaboratori: usando ogni mezzo, le autorità hanno giocato d’anticipo.
La protesta su TikTok
E alla vigilia hanno vietato la pubblicazione di inviti alla protesta, su Facebook o sull’equivalente russo Vkontakte. Hanno arrestato per nove giorni la portavoce Kira Yarmysh, per aver organizzato l’evento pubblico senza permessi, e condannato Ljubov Sobol, legale della Fondazione anti-corruzione, a pagare una multa di 300mila rubli (3.300 euro) per aver disobbedito alla polizia. Fermati in varie città del Paese i coordinatori del movimento, mentre a Mosca le autorità hanno riaperto le scuole proprio ieri, dopo aver constatato un promettente calo dei contagi Covid. Il ritorno in presenza non riguarda, tuttavia, luoghi di lavoro e università.
Il regime guarda infatti soprattutto ai giovani, che da giorni scambiano messaggi per condividere il desiderio di partecipare alla protesta, malgrado le conseguenze. Una ragazza si è fatta riprendere su TikTok mentre toglie dalla classe il ritratto di Putin, ma sono numerose anche critiche e insulti verso Navalny e i suoi per i rischi a cui espongono ragazzi anche minorenni, spingendoli nelle mani delle forze speciali che oggi li aspetteranno per strada. Naturalmente online si sono anche scatenati i troll del regime, che hanno preso d’assalto gli account dei fedelissimi di Navalny nel tentativo di bloccarli.
«Non intendo suicidarmi»
Dal carcere moscovita di Matrosskaja Tishina i legali di Navalny raccontano il totale isolamento del loro assistito, in cella singola per via della quarantena e senza la possibilità di ricevere lettere dalla famiglia. Anche se attraverso il suo avvocato è riuscito a far passare il messaggio che non ha «nessuna intenzione di impiccarsi alle sbarre della finestra, tagliarsi le vene o la gola. Uso le scale con attenzione, escludo un attacco di cuore e il mio stato emotivo è stabile. So che fuori dal carcere ci sono moltissime brave persone, l’aiuto arriverà». Convocare immediatamente una manifestazione per oggi è stato il suo primo passo dopo l’arresto, quello successivo la pubblicazione dell’ormai famoso video che denuncia il sontuoso “resort” che Putin si sarebbe fatto costruire sulle rive del mar Nero, sperperando le risorse dello Stato.
Il video è stato visionato da più di 60 milioni di persone in pochi giorni: è su queste iniziative che Navalny scommette per alimentare la rivolta contro il regime anche dal carcere, dove probabilmente sa di poter restare lunghi anni. La sua scommessa, tuttavia, è restare un punto di riferimento, ancor più credibile e popolare per il coraggio e il sacrificio che ha dimostrato di accettare. L’auspicio di Putin è esattamente l’opposto: allontanare il più possibile il grande accusatore dalla vita pubblica e da Mosca, sperando che la gente si dimentichi di lui. Per questo è probabile che al processo del 2 febbraio Navalny si vedrà confermata una condanna a tre anni e mezzo in attesa della conclusione delle inchieste successive, che minacciano altri dieci anni di colonia penale.
Un’altra Bielorussia?
«È incredibile quanto Putin abbia paura di quest’uomo», osserva Antony Blinken, il nuovo capo della diplomazia americana. Sembra strano, a giudicare dai sondaggi sulla popolarità dei due rivali, con Navalny comunque lontanissimo dal tasso del 60% di cui gode il presidente. E se pandemia, crisi economica e persistente calo dei redditi alimentano l’insoddisfazione generale, soprattutto nelle regioni più povere, l’esempio di una sollevazione compatta contro il regime come in Bielorussia non sembra ancora realistico per la Russia.
Navalny - che nel 2013 potè candidarsi per diventare sindaco di Mosca e in poco tempo e con pochi mezzi raccolse il 27% dei consensi - è però un seme determinato ad accelerare la caduta del regime, dovessero volerci anni. Funziona più come critico che come rivale di Putin, sostiene Aleksej Levinson, sociologo del Centro Levada, citato dal Moscow Times: questo perché «la lealtà nei confronti di Putin è lealtà verso la realtà sociale russa. Scollegarsi da Putin significa scollegarsi dalla realtà, un passo nell’ignoto che fa paura». Passo che per ora solo i ragazzi che si presenteranno in piazza oggi sono pronti a compiere.
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