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Sono 900mila i lombardi fragili. Il report dell’Osservatorio Vulnerabilità e Resilienza ha rilevato questo dato, ma può rispondere a molte altre domande sulla società lombarda grazie all’analisi di 291.752 dichiarazioni dei redditi presentate dai lombardi negli anni 2019, 2020 e 2021 e alla più estesa ricerca sui caregiver lombardi mai effettuata.
L’Osservatorio è nato dalla collaborazione tra le Acli Lombarde e due importanti soggetti di ricerca come l’Istituto di Ricerca Sociale e l’Associazione Ricerca Sociale.
Dal report sono emersi dati che stilano la classifica delle provincie più ricche e più povere: in testa ci sono Milano (21.500 euro) Monza e Brianza (19.240) e Lecco (19.120), in fondo invece ci sono Lodi (18.318), Pavia (18.004) e Brescia (16.500). Con un dettaglio maggiore delle differenze sociali perché non si tratta di una semplice media dei redditi, ma del reddito mediano, grazie al quale emergono dettagli come il fatto che Lecco sia la percentuale con la sperequazione più alta di tutta la regione: il reddito mediano del primo quintile (più poveri) è pari al 19% del quinto quintile (più ricchi). Mantova invece è la provincia più egualitaria dove lo stesso dato sale al 25%.
Sperequazioni che restano presenti in tutto il territorio con una «significativa e persistente divaricazione -spiega il report - il 20% più povero dei contribuenti lombardi concentra solo il 6% dei redditi totali, mentre il 20% più ricco ne concentra ben il 40%».
Ma le differenze si rivelano anche tra generi e fasce d’età: le donne dichiarano redditi significativamente più bassi degli uomini (€ 17.068 vs € 21.589) e sono più esposte al rischio di vulnerabilità. E allo stesso tempo avere una famiglia può esporre le persone al rischio povertà: i contribuenti con figli a carico presentano un valore mediano dei redditi molto basso (circa 12.000 € contro gli oltre 21mila di coloro che non ne hanno. E solo un terzo delle famiglie con figli ha la possibilità di sostenere il costo di un’istruzione universitaria. L’unica salvezza per le famiglie paiono essere i nonni. Perché hanno redditi superiori che permettono di aiutare i figli.
Per quanto riguarda la condizione lavorativa del caregiver, il 56% del campione è occupato, quasi un terzo è in pensione. L’età media è di 60 anni: si tratta di persone che, simultaneamente, accudiscono i genitori, i figli e i nipoti, insomma dei caregiver nonni, in una dinamica che può coinvolgere non solo due, ma tre generazioni.
«Nella maggioranza dei casi (65%) il carico di cura è ancora condiviso con altri familiari, ma il dato nettamente inferiore rispetto a quanto rilevato in precedenti ricerche lombarde svolte sul tema, dove tale condivisione toccava una media dell’88% - precisa la ricerca - Si tratta, forse, di un primo segnale di quanto le famiglie si stiano assottigliando, o verticalizzando, con una rete di aiuti che si restringe via via, a causa degli imponenti cambiamenti demografici nella struttura familiare che stiamo attraversando, e di una dinamica che acuisce gli elementi di vulnerabilità dei caregiver».
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