Il gallerista e il curatore
Ospitiamo questo saluto del gallerista bresciano all’amico Germano Celant
di Massimo Minini*
2' di lettura
Ogni giorno arrivano messaggi da leggere, video da guardare, appelli da firmare. Oggi per favore non mandateci niente. Non abbiamo più voglia di questi giochi. Non servono a niente, per favore un po' di silenzio.
Germano Celant (1949/2020) ha terminato la sua vita su questa terra e noi abbiamo perso un amico oltre che un grande interprete e organizzatore di mostre della nuova arte. Dare tempo al tempo e mettere al mondo il mondo come avrebbe detto Boetti. Lui c'era riuscito.
Tutto questo agitarsi, questo darsi daffare nelle arti: un grande gioco al massacro. Celant, invece, aveva portato un approccio più da storico che da capitano di ventura. Dalla lanterna di Genova al Guggenheim. Dalla Salita Oregina, il luogo della mitica comunità dell'Oregina a Genova, alla sua Fondazione di Milano. Dal «Marcatrè» all'Arte Povera. Da Venezia a Kassel. Dal biliardo al poker. Con occhialini tondi e anelli alle dita, anelli d'Argento come il nome del suo bimbo.
Fondatore di una nuova identità: identité italienne. Mi ha raccontato un giorno che, non trovando «Artforum» in Italia, era andato a New York a comperarlo. Alzava il sopracciglio sinistro e gli scappava un sorriso d'intesa in queste occasioni di complicità, come a dire: ”sembra che l'abbia detta grossa, vero? Invece proprio così è andata”. A New York si fermerà un po' più del previsto. Acquista i numeri di «Artforum» che cercava, ma diventa anche caporedattore. Inoltre, en passant, siederà al Guggenheim Museum su una poltrona molto importante.
Oggi il mondo ha perso un gigante. Ma nel disastro di questo pandemonio Germano ci ha lasciato una grande eredità. Oggi siamo più disperati da un lato e più ricchi dall'altro. La sua lezione è stata importante: ci ha insegnato un metodo, una diversa consapevolezza, un modo di guardare alle opere d'arte senza filtri, un sistema del tutto nuovo per mostrarle seguendo i desideri dell'artista. Germano diventa coautore e complice, non solo narratore di interpretazioni ex post. L'invenzione dell'Arte Povera è solo un passaggio, poi é venuto tutto il resto, compresa la sua forza fisica, oltre quella mentale, per affrontare lunghi viaggi fatti per vedere, capire, fare, inventare; forza necessaria per imporre il “modo italiano” nei mitici sessanta e settanta che oggi ci appaiono così grandi ma lontani. Giri del mondo che lo hanno lasciato senza forze e senza difese.
Ci piace pensarlo ora mentre viaggia a velocità che noi non conosciamo, verso l'infinito, come dice il titolo di una famosa opera di Giovanni Anselmo. Tutti viaggeremo così in quei momenti, ma Germano lascia dietro di sè una scia luminosa.
Una scia d'Argento......
*Gallerista
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