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In Sardegna i batteri per aiutare le piante

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di Davide Madeddu

2' di lettura

Batteri e microrganismi al posto dei fertilizzanti chimici per favorire la crescita delle piante anche nei periodi di stress idrico. Il tutto, migliorando le funzioni del suolo e la produzione agricola soprattutto quando si devono fare i conti con gli effetti dettati dalla siccità e dal cambiamento climatico. Proprio in questo ambito nasce il progetto denominato Ortumannu dall’Enea con l’Università degli Studi di Cagliari, il CRS4 (centro ricerche regionale) e Mutah University (Giordania). Obiettivo dell’attività portata avanti dai ricercatori, è di contrastare l’impoverimento dei suoli, promuovendo una produzione agricola d'alta qualità, in cui si riduce l'impiego di di fertilizzanti, pesticidi e acqua e si lavora utilizzando risorse naturali, biotecnologie e strumenti innovativi.

«Grazie alle tecnologie Ict e al modello sviluppato dal CRS4 riusciamo a comprendere le criticità nella crescita di una pianta, che possono essere di natura nutrizionale, per una mancanza di nutrienti o per uno stress idrico – chiariscono i ricercatori del Crs4 –, e quindi possiamo capire come intervenire per migliorare l'irrigazione o la concimazione con l'uso di bio fertilizzanti e per definire pratiche sostenibili». Quindi l’esperimento sul campo con i ricercatori dell’Enea che hanno lavorato alla caratterizzazione microbiologica del suolo in presso una stazione agronomica della regione di Al-Ghweir in Giordania. Poi avviene la selezione dei ceppi con le migliori caratteristiche per «creare la formula microbica più efficace da applicare in un campo sperimentale» della Mutah University coltivato a sorgo, una specie vegetale della famiglia delle graminacee.

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«Rispetto all’uso di fertilizzanti chimici come il fosfato biammonico (Dap), la sperimentazione in campo ha dimostrato l’efficacia della formula microbica nel sostenere la crescita durante la fase di produzione di fusti secondari del sorgo (accestimento) – chiariscono dall'agenzia di ricerca –. Inoltre, è stato rilevato che in condizioni di stress idrico le piante inoculate con il biofertilizzante sono sopravvissute in buone condizioni fisiologiche, a differenza delle piante concimate con fertilizzante chimico».

A spiegare il risultato della sperimentazione è Chiara Alisi, ricercatrice del Laboratorio di Osservazioni e misure per l'ambiente e il clima e referente del progetto per l’Agenzia Enea: «Ad oggi abbiamo dimostrato che la fertilizzazione con una formula microbica sito-specifica, naturale ed endemica può sostituire quella chimica e andare a migliorare le pratiche agricole spesso basate sull’uso intensivo di fertilizzanti e sullo sfruttamento eccessivo delle risorse idriche, causando l'impoverimento dei suoli». Un punto di partenza per un lavoro che potrebbe essere replicato. «Per questo motivo – conclude – auspichiamo un impatto positivo sulle comunità locali che abbiamo già coinvolto nella ricerca, ma ci impegneremo anche per un rapido processo di trasferimento dei risultati al settore agroindustriale».

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