fonti rinnovabili

In Scozia l’energia delle maree si prepara a superare il nucleare

di Elena Comelli

4' di lettura

La forza delle maree potrebbe battere le prestazioni dell'energia nucleare. Nel Pentland Firth, lo stretto che divide la Scozia dalle isole Orcadi, il progetto MeyGen sta dando dei risultati straordinari e sembra ben avviato in questa direzione, sia per il grado di efficienza che per la costanza e la prevedibilità del rendimento. MeyGen è il più avanzato fra gli esperimenti in corso in giro per il mondo, che puntano a sfruttare la potenza dei movimenti marini per produrre energia elettrica.

Con quattro turbine da 1,5 megawatt ciascuna, l'impianto ha immesso in rete, nei primi sei mesi di quest'anno, 7 gigawattora di energia rinnovabile, sufficienti ad alimentare i consumi di 2200 famiglie. Con ciò, le turbine di MeyGen hanno prodotto in tutto, dall'aprile dell'anno scorso, oltre 17 gigawattora, la prestazione più consistente mai registrata da un impianto di questo tipo, con un'efficienza altissima, del 90%.

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Forte di questo risultato straordinario, la società produttrice Atlantis ha annunciato l'intenzione di portare in tempi brevi la potenza installata da 6 a 73 megawatt, con un investimento di 460 milioni di euro. L'obiettivo è di raggiungere per tappe successive una potenza installata di 400 megawatt, già autorizzata dalla corona nello specchio d'acqua prospiciente il castello di Mey, utilizzato tutti gli anni come residenza estiva prima dalla Regina Madre e ora dal principe Carlo. «Quando l'impianto sarà completo, la potenza di MeyGen supererà del 50% quella di Dounreay, la più grande centrale nucleare delle Highlands scozzesi», spiega il Ceo Tim Cornelius, convinto di trovarsi all'inizio di una rivoluzione epocale per lo sviluppo delle fonti rinnovabili.

La sfida posta dall'ambiente marino, selvaggio e corrosivo, è gigantesca, ma la ricompensa è molto allettante: enormi quantità di elettricità pulita, affidabile e rinnovabile per un mondo affamato di energia. In base alle stime di Ocean Energy Systems, la coalizione di 25 nazioni marittime a cui appartiene anche l'Italia, l'energia delle onde e delle maree ha un potenziale globale di 750 gigawatt da sfruttare entro il 2050, quasi il doppio della capacità nucleare globale di oggi. La Ue conta di trarre dal mare il 10% del suo fabbisogno energetico nel 2050, con una potenza installata complessiva di 100 gigawatt.

Arrivare per primi all'appuntamento con la transizione energetica del mare è lo scopo di MeyGen, che si è sviluppato dal progetto europeo Clearwater. Partito nel 2014 nell'ambito del settimo programma quadro per la ricerca con 7,7 milioni di euro di finanziamento, il consorzio di Clearwater era composto, oltre ad Atlantis, dall'università di Edimburgo, dall'olandese Royal Haskoning e dalla danese Dhi Water & Environment. I punti essenziali da sviluppare sono stati l'individuazione della località ideale per questo tipo di sfruttamento e la messa a punto della tecnologia.

Sul Pentland Firth nessuno ha avuto dubbi: è un braccio di mare conosciuto per le sue maree rapidissime, che raggiungono i 16 nodi (30 chilometri all'ora) e hanno causato almeno 600 grandi naufragi. Sulla forma delle turbine, invece, c'è ancora da lavorare, ma intanto MeyGen è entrato nella fase operativa e commerciale. “In oltre un anno di produzione ininterrotta abbiamo generato un ampio volume di dati, che ci consentiranno di ottimizzare le prestazioni e di dare fiducia agli investitori”, commenta Cornelius.

Nella prossima fase Atlantis utilizzerà le AR2000 da 2 megawatt, che ha sviluppato insieme a General Electric: sono turbine a tre pale ad asse orizzontale, come quelle già sperimentate, un po' simili alle tipiche turbine eoliche ma molto più piccole e compatte: mentre una turbina eolica da 2 megawatt ha 85 metri di diametro, quella marina non va oltre i 24 metri. In altri progetti sottomarini, però, sono stati sperimentati design molto diversi, con turbine a quattro o a sei pale. OpenHydro, che opera nella baia canadese di Fundy, usa mega-anelli da 16 metri con le pale rivolte verso l'interno, che ricordano la bocca di un gigantesco pesce lampreda e si producono a Cherbourg. Si stanno sperimentando anche turbine verticali che ruotano come una giostra, usate da Hydroquest in Francia e da Lhd in Cina.

Catturare l'energia delle onde, poi, è tutta un'altra storia. Qui le strutture sono ancora più fantasiose, progettate per resistere all'usura del moto ondoso, che è molto più difficile rispetto a quella delle maree. L'impianto dell'australiana WaveSwell, ad esempio, funziona come uno sfiatatoio, con onde che fanno esplodere l'aria attraverso un tubo e attraverso una turbina. Altri dispositivi, come quello di Wedge Global, usano boe che rimbalzano su e giù su un palo e s'inabissano quando arrivano le tempeste. Un altro, Corpower, utilizza un sistema idraulico ispirato al cuore umano per attutire l'impatto del maltempo.

Uno dei pionieri del settore è un italiano: Michele Grassi, fondatore di 40SouthEnergy, ha messo in acqua un impianto operativo a Marina di Pisa, con una macchina che non galleggia in superficie, ma va ad intercettare l'energia del moto ondoso in profondità. La sua H24, da 50 kilowatt, si appoggia sul fondo a una decina di metri di profondità ed è composta da una guida, lunga 24 metri, su cui è montata una componente mobile, che viene spostata avanti e indietro dalle onde, producendo energia. L'anno scorso è stata acquistata da Enel Green Power e allacciata alla rete. E per adesso dall'Italia è tutto.

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