commentoMISURE DI MEZZA ESTATE

Inchiodati alla logica del corto respiro

Tra Decreto Agosto e Recovery plan non c’è svolta: la lista di bonus e rimborsi si allunga di pari passo all’avvicinarsi delle scadenze elettorali e sullo sfondo si afferma l’idea che c’è denaro (facile) da distribuire per tutti. Tanto si possono fare deficit e debito

di Guido Gentili

3' di lettura

Vedremo (una volta finita la consueta guerriglia preventiva sulle bozze) di che pasta sarà fatto, in concreto e nei dettagli, il Decreto Agosto. Ultima tappa prima della messa a punto del Recovery Plan (Piano nazionale per la ripresa) a sua volta decisivo per accedere ai 209 miliardi del Recovery Fund europeo. Due segnali facevano pensare alla possibilità di una prima, attesa svolta.

Primo: il presidente della Repubblica Mattarella ha parlato della necessità di non considerare le ingentissime risorse europee messe a disposizione dell’Italia come una «diligenza» da assaltare. Il secondo segnale: il presidente del Consiglio Conte ha scritto (lettera al “Foglio”) che è arrivato il momento «di mettere fine a politiche economiche di mero ristoro, di corto respiro, ispirate a logiche corporative e settoriali, chiuse nella sterile strategia della ricerca del consenso elettorale». Perché solo le «riforme strutturali assicurano la fiducia e la ripartenza dell’economia».

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Non che un decreto possa ora ribaltare da solo il corso di una politica economica che già prima del lockdown da coronavirus eludeva il linguaggio della verità e faceva fatica a confrontarsi con i risultati, come nel caso delle pensioni Quota 100 e del Reddito di cittadinanza dal lato delle politiche attive per il lavoro.

Ma, a cavallo tra Decreto Agosto e Recovery plan, non circola aria di svolta. E il respiro resta corto. A volare sulle ali più disparate e creative ci sono sempre i bonus e i progettati rimborsi (come quello per incentivare i consumi nei centri storici in sofferenza per le conseguenze dello smart working) la cui lista si allunga di pari passo all’avvicinarsi delle scadenze elettorali. Lievitano gli interventi micro settoriali e i tamponi nel segno di una emergenza senza fine.

In generale, si va affermando l’idea che c’è denaro (facile) da distribuire per tutti, tanto si possono fare deficit e debito. All’ombra minacciosa di Covid-19 non ci sono condizioni da rispettare, né c’è da discutere troppo sul sottile. Abbiamo necessità di investimenti massicci nella sanità? Del fondo europeo Mes potremo fare a meno, o forse no. Che poi, come certificato dall’Ufficio parlamentare di Bilancio (Upb), il Paese si avvii a una contrazione del Pil nel 2020 pari a -10,4% e un debito pubblico stabile nel 2020 e nel 2021 intorno al 160% del Pil pare un dettaglio. Anzi, la Germania sulla crescita farà peggio dell’Italia, quest’anno. Perché preoccuparsi tanto?

Infine, il ritorno dello statalismo. Può far sorridere che un gigante come la Cdp (la cui forza risiede nel risparmio postale degli italiani) abbia impegnato 10 milioni a sostegno di un’azienda privata che fa gelati. Ma fa meno sorridere che il Governo, direttamente con una lettera al cda, abbia di fatto congelato una trattativa tra la Tim (dove è peraltro presente la Cdp con il 9,9%) ed il fondo Usa Kkr sullo scacchiere della rete unica.

Che l’intervento (temporaneo, si dovrebbe intendere) dello Stato, dopo lo scoppio della crisi coronavirus, si sia reso necessario è un dato. Che diventi la norma ed alteri l’equilibrio tra pubblico e privato divenendo, con i soldi dei contribuenti, Stato gestore o catalizzatore che dir si voglia, è tutto un altro film.

È questo l’habitat, anche culturale, che fa da sfondo ai decreti che si susseguono l’uno dopo l’altro in attesa del Piano nazionale per la ripresa, sul quale il braccio di ferro tra ministeri e presidenza del Consiglio è già in corso alla prima tappa di un lungo giro. Inevitabile che il Decreto Agosto, con tutti i suoi nodi politici da sciogliere, a partire da quello sul blocco dei licenziamenti, sia anch’esso oggetto di un nuovo tira e molla interno alla maggioranza di governo. La quadratura del consenso prevale così su quella dei conti e di una ripartenza su basi solide. Accade quando il respiro resta corto mentre il tempo a disposizione si fa sempre più stretto.

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