Incidente aereo in Colombia, 4 bimbi trovati vivi nella giungla dopo 40 giorni
Morti i due piloti e la madre dei bambini
I punti chiave
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Quattro fratelli tra gli 11 mesi e i 13 anni per 40 giorni da soli nella foresta amazzonica. È quanto accaduto a un gruppo di bambini in Colombia, sopravvissuti a un incidente aereo e a oltre un mese nella giungla, prima di essere ritrovati e salvati. L’odissea 1° maggio quando il Cessna monomotore a elica su cui viaggiavano con la mamma, un altro adulto e un pilota è sparito dai radar dopo aver comunicato un’avaria.
Le ricerche
Subito sono cominciate le ricerche di eventuali superstiti, cui hanno partecipato anche decine di volontari delle tribù indigene. Due settimane dopo, il 16 maggio, sono stati ritrovati i cadaveri dei tre adulti in una fitta macchia della foresta pluviale, mentre non c’era nessuna traccia dei bimbi. L’episodio ha fatto crescere le speranze di trovarli vivi. Così le forze armate colombiane hanno inviato 150 soldati, muniti di unità cinofile, per rintracciare i piccoli, mentre con elicotteri sono stati lanciati nella foresta pacchi di cibo e aerei con razzi traccianti hanno illuminato la selva durante la fase notturna delle ricerche. Altri soccorritori hanno usato i megafoni per diffondere un messaggio della nonna dei fratellini, nel quale li invitava a rimanere dove si trovavano.
Il falso annuncio
Non è mancato il falso annuncio del ritrovamento, lo scorso 18 maggio, con un tweet del presidente colombiano, Gustavo Petro, poi prontamente cancellato. Le operazioni di ricerca si sono svolte entro un raggio di oltre 4 chilometri, partendo dal luogo dello schianto dell’aereo. Nei giorni è emerso più di un segnale incoraggiante, come il rinvenimento di un biberon, di pannolini, di impronte e di pezzi di frutta che sembravano essere stati addentati da esseri umani. Fino all’annuncio del ritrovamento, avvenuto grazie a un cane da ricerca. I militari hanno twittato le foto di un gruppo di soldati e volontari assieme ai bambini, avvolti in coperte termiche, e dell’elicottero su cui sono stati caricati i bambini, partito alla volta di San Jose del Guaviare. Petro ha definito i fratellini “un esempio di sopravvivenza”, rimarcando che la loro vicenda “resterà nella storia”. Non è chiaro come i piccoli abbiano resistito per tutto questo tempo nella foresta, ma funzionari colombiani hanno ipotizzato che proprio l’appartenenza a una comunità indigena possa aver fornito loro il sapere necessario per sopravvivere.
Riti indigeni per ritrovare i bambini
Alla fine di ogni giornata, quando scendeva la notte, gli indigeni impegnati nelle ricerche dei quattro fratellini sopravvissuti 40 giorni nella jungla amazzonica colombiana dopo un incidente aereo, celebravano un rito per propiziare la riuscita della loro missione. Lo riporta l’online del settimanale colombiano La Semana. Gli scout dei popoli nativi masticavano mambe (polvere delle foglie di coca), e bruciavano peperoncini, mentre uno di loro si metteva in comunicazione con un parente morto. Secondo il racconto degli indigeni, in passato avevano combattuto contro le forze del male della jungla, una specie di energia che si incarna in tigri, tapiri e altri animali e per metterli in fuga, avevano sparso polvere di peperoncini bruciati, come se fosse incenso, nei luoghi in cui vivono questi animali ritenuti malvagi.
Secondo le credenze della comunità Yurapari, in Amazzonia, ogni territorio è protetto da spiriti che si prendono cura dell’area, «i bambini sono in buone condizioni perché queste forze si sono prese cura di loro», ha spiegato uno scout indigeno.
Battuti 2.500 km di jungla
I militari e gli indigeni impegnati nelle ricerche dei quattro fratellini inizialmente erano impegnati su un quadrante di jungla di di circa 323 chilometri quadrati, pari all’intera provincia di Buenos Aires. La settimana passata, l’area era stata ridotta a 20 chilometri quadrati. Si stima che ciascuna unità, di otto o dieci persone, abbia perlustrato tra i 250 ei 300 chilometri, riferiscono i militari colombiani. In totale, tra soldati e indigeni sono stati percorsi oltre 2.500 chilometri nella selva, spesso sotto una pioggia battente.
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