Rock italiano

Indagine su una band al di sopra di ogni sospetto

Il tempo passa, ma l'ispirazione, l'irrequietezza di fondo e il tiro rimangono vivi. A più di vent'anni dall'ultimo disco, il ritorno dei Ritmo Tribale, uno dei gruppi protagonisti della nostra scena “alternativa”

di Davide Sapienza

6' di lettura

«L'uso della libertà minaccia da tutte le parti i poteri tradizionali», dice la voce di Gian Maria Volontè nel film Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri, alla quale si aggiunge un sottofondo di pianoforte. Così ci accoglie La rivoluzione del giorno prima, il primo album di inediti pubblicato dai Ritmo Tribale dall'ultimo Bahamas, del 1999; poi la voce di Andrea Scaglia irrompe e inizia Le cose succedono, la canzone-manifesto di un viaggio rock interiore, ma condiviso con un pubblico che non ha dimenticato la band milanese: un'avventura che, alla fine di questi nove brani, riconosciamo come quella di sempre.

Pochi artisti rappresentano la quintessenza di una Milano che serpeggia dentro e fuori il mainstream culturale come questi cinque musicisti ancora oggi impegnati nella caccia allo spirito ardente, al bagliore primordiale così abbagliante che si sprigiona quando la band sale sul palco o produce canzoni. Sembra quasi che i Ritmo Tribale non possano invecchiare. Erano già così alla fine degli Anni 80, quando frantumarono la vuota definizione di “musica alternativa”, imponendo in anticipo sui tempi il nuovo paradigma rock nato in Italia ma in viaggio nel mondo, con Bocca Chiusa e poi con il cult album del 1990 Kriminale, una bomba di energia e pensiero libero, vessillo della Vox Pop, etichetta discografica che impose la scena indipendente milanese, quella di Manuel Agnelli con i suoi Afterhours e di Mauro Ermanno Giovanardi con i Carnival of Fools. Anarchici allora come oggi nel rifiutare lo status quo discografico, ma ricercando la condivisione di regole nuove e più giuste per gli artisti, custodi del bagliore creativo.

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Kriminale scosse le fondamenta del palazzo discografico e impose i Tribali come la band capace di seminare ispirazione. Altri, come spesso accade, raccolsero più frutti commercialmente remunerativi, ma tutti sapevamo dove guardare per ricordarci chi aveva acceso la scintilla. Cavalieri dell'incompiutezza programmatica, ancora oggi asciutti e diretti quando ci ricordano che «Le cose non sono/ Le cose succedono/ E si trasformano secondo necessità».

Donatori volontari di un'opera dolorosamente attuale, la band di Andrea Scaglia, Fabrizio Rioda, Andrea “Briegel” Filipazzi, Luca “Talia” Accardi e Alex Marcheschi non solo rappresenta lo sferragliante malore della grande metropoli, ma ci sbatte in faccia la necessità di uno slancio che la comunità umana può trovare grazie alla musica, veicolo per tutti di connessione e di emozione. Il gruppo lo fa in quaranta minuti netti, svelando le terre dove prospera un albero che non ha mai smesso di germogliare. Da più di trent'anni, i Ritmo Tribale hanno scelto un viaggio di sola andata e di rigenerazione nel ciclo vitale, scorrendo proprio come un fiume. Nel mezzo di questa corrente, insieme ad Alex Marcheschi, l'anima antica del Ritmo Tribale, abbiamo provato a capire la rotta.

Cavalieri dell'incompiuto
Tanto scatenato dietro la batteria (nei crediti degli album si descrive sempre «ai tamburi») quanto sfinge di serenità, Alex, capace di ammorbidire gli spigoli e tenere insieme le migliori pulsioni di personalità forti come quelle dei suoi compagni, anche quelli che decisero le sorti iniziali del gruppo, come Stefano “Edda” Rampoldi e Alessandro Zerilli. Pur sempre con un mantra, che per la band valeva allora come oggi, riassunto nel ritornello de Le cose succedono «Io non voglio vivere in memoria di me/ Io non voglio vivere in provincia di quello che/ Poteva essere ma non è stato/Io non voglio vivere come fossi mai nato». Quasi un aforisma Zen, perfetto esempio di poetica dell'essenziale.

«Per motivi oscuri, abbiamo sempre avuto l'urgenza di buttare fuori a livello emotivo un flusso gigantesco, più o meno razionale, di suoni e parole senza filtri o controlli. Penso sia questo il motivo per cui le nostre canzoni hanno spesso avuto un senso di incompiutezza a livello formale, ma nello stesso tempo una autenticità e una comunicatività che le hanno rese uno specchio fedele del nostro presente e della realtà intorno a noi. Forse solo adesso ho capito cosa mi hanno lasciato questi trentacinque anni di suoni e parole», mi racconta Alex, mettendo subito in chiaro che forse proprio quell'incompiutezza formale è la psiche stessa della band, che piomba come una luce tagliente in quest'epoca. Con quella apertura di orizzonti che a vent'anni ci apparivano diversi, convinti come eravamo di fare la rivoluzione del giorno stesso: «È la consapevolezza di una profonda amicizia tra di noi e allo stesso tempo la sensazione di aver accompagnato misteriosamente la vita di molte persone che soprattutto ora, con l'uscita del nuovo album, continuano a lasciare testimonianze di una profonda gratitudine nei nostri confronti e non solo per la qualità delle canzoni. Forse è questo che mi rimane la sensazione, in un periodo in cui sembra mancare a livello sociale un reale senso comunitario, di appartenere a un clan rappresentato da noi e da chi ci segue. Come se avessimo tutti un antenato comune che ci ha trasmesso la passione per la bellezza e per la verità».

Ci passano davanti tappe indimenticabili, conversando: l'invito del 1990 al New York New Music Seminar (il bagliore di Kriminale fu talmente dirompente da abbattere i confini nazionali); Fabrizio Rioda che sui Navigli fonda gli studi Junglesound, passaggio chiave per lo sviluppo della nuova scena italiana degli Anni 90, oltre che covo dei Tribali per molti anni… Epoche si fondono una nell'altra. Comprimendo gli anni, è rimasto quello spazio interiore della band dove la musica scorre. Cogliendo così gli impulsi che volavano nell'aria: «Forse è questo il motivo per cui sono passati ventuno anni dall'ultimo album: ci è ritornata l'urgenza di esprimere in musica i nostri demoni, liberamente. Il nostro presente continuo è questo: quando abbiamo qualcosa da dire e da dare lo buttiamo fuori, altrimenti stiamo in silenzio, non c'è un piano prestabilito. Improvvisamente ci guardiamo in faccia e capiamo che è arrivato il momento di dare forma alle canzoni e di farle uscire. Fregandocene di qualsiasi logica commerciale o di mercato. Prima veniamo noi, poi il resto. Come adesso, che siamo usciti in pieno lockdown. Una cosa che spesso si è ritorta contro noi».

Come un fiume in piena
Evocati, imitati, ispiratori e loro sempre lì, nel loro viaggio al di sopra di ogni sospetto: i Ritmo Tribale hanno sempre dato l'idea di essere il midollo spinale di un sogno musicale che nella decade dei Novanta portò molte novità. «Trent'anni fa c'era la sensazione che il mondo avesse bisogno di musica fatta da persone con una identità, con dei valori e una qualche verità da esprimere. Sembrava che il momento da cogliere fosse sempre dietro l'angolo, mentre oggi la musica gira come non mai, ma ha preso le distanze dai musicisti. È una specie di ospite che si intrufola passivamente nella vita frenetica delle persone. La band che suona è un concetto quasi arcaico». Vero, ma vero anche che, quando si chiude un ciclo, si riparte diversi, e il processo di rinnovamento tiene vivo che vivo è sempre stato. Chi ha sempre saputo essere come le cose che succedono, e si trasformano secondo necessità.

Sempre lucidamente consapevole del proprio ruolo, Alex sa come scorre l'energia, basta ascoltarlo ai tamburi: «Io in qualche modo, come un vecchio aborigeno, ho sempre vegliato su tutti i bellissimi casini che gli altri combinavano. Sono sempre stato meno irruente e più riflessivo rispetto a loro. L'esperienza del Junglesound, soprattutto grazie alla direzione scelta da Fabrizio, è stata una bomba. Era il nostro mondo fatto a nostra immagine e somiglianza, e da quando non esiste più non c'è stato nulla di simile. Invece noi ci siamo ancora, e credo che uno dei motivi principali per cui siamo ritornati con un album sia l'incredibile ispirazione che da un bel po' di tempo sta accompagnando Andrea, che scrive e compone come un fiume in piena». Flusso e trasformazione alla soglia della rivoluzione del giorno presente? «Il mio presente è fatto di amore per i miei figli, la mia compagna, i miei amici e la mia musica. Mi sento come un albero con delle belle radici. Le ho piantate io nel terreno che preferivo. Onestamente, ogni cosa che ho fatto nella vita l'ho scelta ed è questo che mi rende sereno. Le scelte che ho fatto mi hanno reso uomo e la musica mi mantiene bambino. Per ora va bene così». La musica è comunità. La musica è adesso. La musica è viva. Parola di una band al di sopra di ogni sospetto.

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