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Indagini e pene sostitutive, prime modifiche alla riforma

Pronto il decreto correttivo che rivede i punti più critici. Snellite le procedure. Sanzioni alternative possibili anche senza «sentencing»

di Giovanni Negri

(Gorodenkoff - stock.adobe.com)

3' di lettura

Nuove misure per evitare la paralisi del fascicolo e per semplificare la procedura sulle pene sostitutive, passando per la responsabilità amministrativa delle imprese. È pronto per la presentazione oggi in consiglio dei ministri il testo del primo decreto correttivo, peraltro previsto dalla legge delega nell’arco del primo biennio di applicazione, della riforma del processo penale operativa da inizio anno.

Il decreto prevede così l’introduzione di modifiche per snellire il meccanismo di risoluzione della stasi dei procedimenti e degli strumenti collegati dell’avocazione delle indagini da parte del procuratore generale. In questo senso, per quanto riguarda l’avviso all’indagato della conclusione delle indagini preliminari, si cancella tutta la parte dell’articolo 415 bis del Codice di procedura che delinea per il pm un percorso (in realtà un vero e proprio sub-procedimento) indirizzato a giustificare la mancata emissione dell’avviso prima della scadenza del termine di conclusione delle indagini e che non realizza, di per sé, una paralisi dei tempi.

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A venire riscritto è l’articolo 415 ter del Codice declinando la facoltà del Pm, prima della scadenza dei termini, di presentare al Gip richiesta motivata di rinvio del deposito della documentazione sulle indagini svolte. In particolare la richiesta è possibile: quando è stata richiesta l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere o degli arresti domiciliari e il giudice non ha ancora provveduto o quando, fuori dai casi di latitanza, la misura applicata non è stata ancora eseguita; quando la conoscenza degli atti d’indagine può concretamente mettere in pericolo la vita o l’incolumità di una persona o la sicurezza dello Stato oppure, nei procedimenti per i reati più gravi (quelli con più ampi tempi di indagine), provocare un danno concreto per atti o attività di indagine specificamente individuati, rispetto ai quali non sono scaduti i termini di indagine.

Sul versante delle pene sostitutive, fortemente incentivate dalla riforma, l’intervento punta innanzitutto a chiarire che il giudice quando valuta che, in concreto, non esistono i presupposti per la sostituzione della pena detentiva, non deve attivare il meccanismo di sentencing (quel sistema mutuato dal diritto anglosassone, ma conosciuto anche nei giudizi davanti al giudice di pace, che posticipa la valutazione sull’applicazione delle pene sostitutive a un momento successivo alla pubblicazione del dispositivo della sentenza), pronunciando, dunque, un dispositivo di condanna “provvisorio” e dando un avviso alle parti, ma possa pronunciare direttamente il dispositivo di condanna a pena detentiva non sostituita.

Si opera, inoltre, una complessiva semplificazione prevedendo che, se il giudice già dispone degli elementi necessari per la sostituzione, compreso il consenso dell’imputato, espresso in una fase antecedente o nel corso dell’udienza di discussione, possa direttamente sostituire la pena detentiva, senza necessariamente attivare il meccanismo di sentencing.

Il meccanismo verrà invece attivato solo quando il giudice, anche se ritiene che esistono i presupposti per la sostituzione, non ha tuttavia elementi sufficienti per procedere, perché deve acquisire il consenso dell’imputato o ritiene il consenso espresso non attuale (per esempio, in a causa del tempo trascorso) oppure perché ritiene necessario effettuare ulteriori accertamenti e approfondimenti.

Con lo schema di decreto correttivo si allinea poi ai procedimenti a carico degli enti, disciplinati dal decreto 231 del 2001, la formula introdotta dalla riforma del processo penale per quanto riguarda la sentenza di non luogo a procedere nei confronti delle persone fisiche. Si stabilisce infatti che il giudice dell’udienza preliminare deve pronunciare sentenza di non luogo a procedere anche per le imprese, quando gli elementi acquisiti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna. Adeguato poi anche il riferimento normativo per gli atti di contestazione dell’illecito amministrativo all’ente.

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