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Virus Nipah in India: è la nuova pandemia?

L’India sta adottando misure urgenti per fermare la trasmissione di un virus raro ma mortale che si diffonde dai pipistrelli agli esseri umani

di Francesca Cerati

Afp

3' di lettura

L’India sta adottando misure urgenti per fermare la trasmissione di un virus raro ma mortale che si diffonde dai pipistrelli agli esseri umani. È l’anticamera di una nuova pandemia? La storia di Nipah , virus a Rna comparso per la prima volta in Malesia nel 1998, farebbe escludere questa possibilità, in quanto fino a oggi non si trasmette facilmente.

Diffusione non facile

«Nonostante il suo potenziale letale, il virus Nipah non si diffonde così facilmente tra le persone come fanno altre infezioni di origine animale, il che rende meno probabile la sua diffusione oltre i confini nazionali - afferma Danielle Anderson, virologa del Royal Melbourne Hospital in Australia - non mi aspetto che si diffonda a livello globale nella misura di ciò che abbiamo visto con Covid-19».

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Anche per Christopher Broder, specializzato in Malattie infettive emergenti presso la Uniformed Services University Medical School di Bethesda, nel Maryland «l’alto tasso di mortalità del virus offre meno opportunità di diffondersi rapidamente tra le popolazioni» e aggiunge che «il ceppo circolante in Kerala non è cambiato molto da quando è emerso per la prima volta più di due decenni fa in Bangladesh, anche se le future epidemie potrebbero essere più grandi se si trasformasse in un ceppo più lieve ma più contagioso. Ed è probabile che esistano già varianti che non sono state ancora rilevate».

Alcuni scienziati, però, temono che l’epidemia indiana - la quarta a colpire il Kerala in cinque anni - e quindi la maggiore diffusione delle infezioni tra le persone possa portare il virus a diventare sempre più contagioso: «Ogni epidemia offre all’agente patogeno l’opportunità di modificarsi».

Rischi dagli animali infetti

In effetti, anche se il valore R di Nipah (fattore che misura la diffusione del contagio in una popolazione) è basso (circa 0,33, il che significa che è improbabile che l’infezione si diffonda lontano dalla sua fonte animale), se gli animali infetti dovessero essere trasportati nelle grandi città, l’aumento della densità di popolazione aumenterebbe il rischio di trasmissione da persona a persona che potrebbe consentire al virus di evolversi, innescando nel tempo una nuova pandemia. Uno scenario che abbiamo già visto.

I primi focolai

Il virus Nipah è stato rilevato per la prima volta più di due decenni fa, a seguito di un’epidemia tra gli allevatori di suini in Malesia. Nel giro di pochi mesi si è poi diffuso a Singapore attraverso i maiali infetti. L’epidemia ha provocato quasi 300 casi e più di 100 morti. Da allora non sono stati segnalati altri focolai di Nipah in Malesia, ma nel 2001, il virus è emerso in Bangladesh e in India, dove le epidemie hanno continuato a divampare periodicamente.

In Bangladesh, le epidemie si verificano quasi ogni anno e gli studi hanno collegato le infezioni al consumo di linfa di palma da dattero fermentata contaminata con urina di pipistrello. Inizialmente, si pensava che la trasmissione da persona a persona non fosse avvenuta poiché nessun operatore sanitario era stato infettato durante la grande epidemia in Malesia. Ma nelle successive epidemie, come quella in corso in India, questa cosa è successa e il contagio è avvenuto mentre i sanitari stavano curando le persone infette.

Inoltre, uno studio del 2019 su quasi 250 casi di virus Nipah in Bangladesh nell’arco di 14 anni ha rilevato che circa un terzo delle infezioni umane sono state trasmesse ad altre persone.

I sintomi e le terapie

Quando il virus causa la malattia, l’effetto principale è l’encefalite (gonfiore del cervello). I pazienti sviluppano febbre e lamentano un intenso mal di testa e molti sperimentano disorientamento, sonnolenza e confusione. A oggi non esistono farmaci specifici per il trattamento dell’infezione da Nipah. Sono allo studio sia la ribavirina (indicata in associazione con altri medicinali per il trattamento dell’epatite C cronica) sia anticorpi monoclonali, ma la loro efficacia sull’uomo non è stata ancora dimostrata. È in fase di sperimentazione (fase 1) anche un vaccino a mRna prodotto da Moderna in collaborazione con Il National Institute of Allergy and Infectious Diseases (Niaid), parte del National Institutes of Health, statunitense.

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