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Indice Star, 20 anni dopo: i successi siderali e le stelle cadute

L’indice delle stelle di Piazza Affari ha reso il 20% annualizzato dalla nascita nel 2001. Il listino però è trainato dalle società a maggiore capitalizzazione

di Andrea Gennai e Marzia Redaelli

Palazzo Mezzanotte, sede di Borsa Italiana (Reuters)

4' di lettura

Vent’anni e non sentirli. Anzi. L’indice Ftse Star, che debuttò nell’aprile del 2001, vive una fase quasi euforica. Nel marzo del 2020, nel pieno della pandemia, stava a 25mila punti e adesso ha raggiunto i 60mila. La sua corsa ha surclassato l’indice delle blue chip. L’indice racchiude titoli con alti requisiti in termini di trasparenza e governance e oggi conta una settantina di azioni, molti delle quali hanno beneficiato del rally internazionale delle Borse degli ultimi anni.

Limitando l’analisi agli ultimi tre anni, meno di un terzo delle società dello Star ha un bilancio negativo. E sette titoli perdono più del 40 per cento.

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Un Nasdaq in salsa italiana

Rialzi superiori al 400% in poco più di un anno. L’indice Star è salito alla ribalta dopo la pandemia diventando una sorta di Nasdaq in salsa italiana. Scorrendo le performance migliori dal marzo 2020, a partire da Sesa, è evidente come la tecnologia abbia fatto la parte del leone.

I requisiti all’ingresso

Per essere inseriti tra le stelle di Piazza Affari, occorre rispettare standard elevati. “Il segmento Star - spiega Andrea Randone, responsabile mid & small cap research di Intermonte - per l’ammissione richiede una capitalizzazione tra i 40 milioni e un miliardo di euro. Se poi nel corso degli anni la capitalizzazione si muove fuori da questo range il titolo resta comunque nell’indice.

Lo Star è una sorta di club di società quotate, selezionate con criteri che potremmo definire meritocratici in termini di governance e trasparenza”. Il flottante minimo è più alto di quello degli altri indici e c’è l’obbligo di avere uno specialista che garantisca copertura e gestisca la liquidità, le relazioni trimestrali vanno presentate entro 45 giorni e sono previsti amministratori indipendenti. «I titoli ammessi su Star - continua Randone - sono inclusi anche in altri indici di Borsa; due di loro (Amplifon e Interpump) sono trattati sul Ftse Mib, mentre gli altri, circa un settantina, sono scambiati sul Ftse Mid Cap o sul Ftse small cap. Solo un titolo, BB Biotech, è trattato all’estero. Nel corso degli anni ci sono state anche uscite dal segmento Star, prevalentemente per i delisting».

Squilibrio sui pesi massimi

La media dei multipli a cui trattano i titoli inclusi in questo indice è condizionata dai titoli a maggiore capitalizzazione, a partire da Amplifon e Interpump. «Oggi possiamo dire - conclude Randone - che non siamo su valutazioni particolarmente economiche, ma questo riflette soprattutto la qualità e le prospettive di crescita dei titoli Star». L’aumento della capitalizzazione di pochi titoli alimenta però la concentrazione degli investitori, che cercano aziende di qualità, ma anche liquide in Borsa, per gestire meglio l’operatività.

I titoli più capitalizzati, dunque, hanno raggiunto multipli elevati. Reply, per esempio, è uno pochi titoli italiani del settore tecnologico e scambia a 37 volte gli utili. Amplifon tratta a 44 volte i profitti. Un rapporto prezzo/utili superiore a 30, secondo gli analisti, fa da spartiacque tra l’appetibilità e il rischio, anche a seconda delle condizioni di mercato.

Giglio Group, per esempio, leader italiano nella progettazione di piattaforme e-commerce, quota 50 volte gli utili 2022 e mostra un profilo vulnerabile, con il fatturato atteso in crescita, ma il bilancio in rosso da quattro anni. Oppure ci sono società, come Fiera Milano, gravemente colpite dalla pandemia, la cui posizione finanziaria è peggiorata con il crollo dei ricavi dovuto alle chiusure dell’attività.

Le stelle cadute

Oltre ai casi di successo come Reply, Amplifon, Sesa o Interpump, l’indice sconta anche alcune fuoriuscite eclatanti.Tra i flop più dolorosi c’è quello di Banca Etruria e del Lazio, finita in liquidazione, e che ha fatto parte dell’indice fino alla sospensione nel 2015 seguita al commissariamento.

Oppure quello dei titoli di Mariella Burani Fashion Group, entrata nello Star al suo debutto; le azioni hanno cominciato a scendere nel 2007, dopo essere più che triplicate in tre anni da 8 a 27 euro: «La crescita della società - spiega Maurizio Scataglini, direttore investimenti di Finlabo Sim - era stata finanziata aumentando l’indebitamento a livelli insostenibili; emersero anche irregolarità di bilancio che coinvolsero i vertici del gruppo. La discesa fu veloce e inarrestabile e quando il titolo Mariella Burani fu delistato nel 2009 valeva 2,5 euro, il 90% in meno dei massimi di due anni prima».

Astaldi e Trevisan Cometal sono altri due protagonisti infelici dello Star. «Astaldi - continua Scataglini - nell’agosto 2015 è arrivata a superare il miliardo di capitalizzazione, ai massimi di 10,8 euro, dai 3,1 euro della quotazione nel 2002. Nel 2017 c’è stata la svalutazione dell’esposizione in Venezuela, a fronte di un elevato indebitamento della società. Nell’anno successivo, la mancanza di liquidità di Astaldi è stata esacerbata dall’impossibilità di cedere la sua quota nel ponte sul Bosforo, per via delle difficoltà della Turchia. Nel 2018 la società chiese volontariamente l’esclusione delle azioni dal segmento Star di PIazza Affari e il titolo quotava 0,8 euro, il 93% in meno dei massimi di tre anni prima».

Trevisan Cometal, invece, era una società più piccola; un’eccellenza dell’industria italiana e leader mondiale nella produzione di impianti per la verniciatura in polvere. «Fu ammessa allo Star nell’ottobre del 2003 a 3,10 euro - racconta Scataglini -. Il titolo ebbe un andamento abbastanza anonimo fino al 2007, quando Trevisan toccò il suo picco di redditività e le azioni si apprezzarono fino a 8,6 euro. Già nel 2008, però, il trend di fatturato e utili si invertì e la società andò in crisi, anche in questo caso oppressa dall’elevato indebitamento. Nel maggio 2009 il titolo venne delistato al prezzo di 0,7 euro, in perdita del 77% rispetto al prezzo di quotazione e del 92% rispetto ai massimi del 2007».

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