Industria 4.0, rivoluzione a metà senza nuovi modelli di business
L’innovazione tecnologica di prodotto da sola non basta, ci vuole quella strategica
di Carlo Bagnoli
4' di lettura
Industria 4.0 riduce, in primis e significativamente, gli effetti positivi delle economie di scala. Non rileva più la dimensione dell’impresa, quanto la sua capacità di posizionarsi nel punto a essa strategicamente più adatto della sua catena del valore. La trasformazione digitale del manifatturiero modifica, più in generale, il modo di fare industria, attraverso l’introduzione di soluzioni avanzate che consentono alle imprese di re-interpretare il loro ruolo, impattando lungo tutta la filiera produttiva. Dalla progettazione e disegno del prodotto, per renderlo più intelligente, ma anche gestirne l’intero ciclo di vita, ai rapporti di fornitura e sub-fornitura, per permettere lavorazioni in real time. Dai processi produttivi gestiti come spazi cyber-fisici, ai sistemi di logistica e magazzinaggio, fino al contatto fisico e digitale con il cliente finale, in cui il confine fra fornitura di beni e servizi sarà sempre più labile.
Industria 4.0 apre, perciò, grandi opportunità per le Pmi italiane sul fronte dell’efficientamento dei processi, della riduzione dei costi e del miglioramento della produttività, abilitando su larga scala la capacità di produzione personalizzata. Ma permette, anche, il ripensamento dei prodotti, l’introduzione di nuovi servizi pre e post-vendita e il miglioramento della capacità di reagire rapidamente alle esigenze del mercato. Intercettando la spinta d’innovazione tecnologica di Industria 4.0, le Pmi italiane hanno l’opportunità di sfruttare le proprie potenzialità per organizzare, integrare e disciplinare le filiere produttive, passando da un modello frammentato a uno interconnesso. Un modello che permetta alle Pmi italiane di operare congiuntamente per fornire un prodotto competitivo. L’aggregazione delle imprese in network di aziende interconnesse faciliterà anche il loro accesso alle risorse finanziarie, tecnologiche e, più in generale, alle fonti di conoscenza, fermando una volta per tutte il fenomeno della delocalizzazione produttiva. In sintesi, Industria 4.0 è la soluzione per riportare impiego nelle fabbriche manufatturiere, o forse no.
Il dubbio nasce dall’annuncio, a metà novembre, da parte di Adidas, dello spostamento in Vietnam e in Cina della produzione di circa 1 milione di scarpe all’anno, oggi realizzate nelle speedfactory di Ansbach, in Germania, e di Atlanta, negli Stati Uniti. La notizia della chiusura di tali stabilimenti, al massimo entro aprile 2020, porta, infatti, a mettere in discussione i sopra citati impatti “benefici” di Industria 4.0. La speedfactory è stata annunciata, solo quattro anni fa, come la prima vera concretizzazione della quarta rivoluzione industriale. Adidas affermava di aver reiventato la manifattura, ma per l’Economist aveva “solo” reiventato un’industria. Una fabbrica completamente automatizzata in grado di assemblare in Europa e a costi competitivi, scarpe su misura e in “pronta consegna”, grazie a robot sofisticati capaci di lavorare in tempo reale materiali e informazioni tecniche digitalizzate. Gerd Manz, vicepresidente del gruppo di innovazione di Adidas affermava in una intervista alla rivista Wired nel novembre del 2017: «Possiamo reagire ai bisogni del consumatore in giornata». Alla fine, la speedfactory di Ansbach era diventata un simbolo del fatto che la realizzazione di una smart factory permettesse di mantenere in Europa la produzione e, quindi, i posti di lavoro. Non si sa in realtà quanti, stante l’elevatissima automazione che caratterizzava tale stabilimento. Adidas spiega che lo spostamento della produzione in Asia è dipeso da ragioni organizzative, essere vicini ai fornitori, più che economiche. Il rischio, però, è di esportare in Asia anche le tecnologie abilitanti Industria 4.0, rafforzando il vantaggio competitivo della Cina che sta già pesantemente investendo in esse.
Indipendentemente dalle reali ragioni di Adidas, questa delocalizzazione impone anche alle Pmi italiane di riflettere su come approcciare la quarta rivoluzione industriale in atto. Essa può permettere un radicale riposizionamento competitivo del sistema produttivo italiano solo se le opportunità offerte dalle tecnologie abilitanti Industria 4.0 saranno sfruttate anche per disegnare nuovi modelli di business, funzionali a intercettare al meglio la crescente domanda di Made in Italy.
All’innovazione tecnologica di processo e prodotto, occorre affiancare l’innovazione strategica di modello di business. Questo per ridurre i costi eliminando i fattori non più critici di successo, ma incrementando nel contempo i ricavi, introducendo nuovi fattori competitivi. Per creare nuovi mercati partendo dalla soddisfazione di bisogni emergenti, ma anche di quelli esistenti a livello sociale che i consolidati modelli di profitto basati sulla tradizionale transazione monetaria non riescono ad appagare. Industria 4.0 può essere un importante driver per disegnare nuovi modelli di business che permettano alle imprese italiane, in primis alle Pmi, di cambiare le “regole del gioco” a proprio vantaggio.
Se le opportunità offerte dalla quarta rivoluzione industriale saranno sfruttate al meglio, combinando le caratteristiche della trasformazione digitale in corso con quelle della struttura imprenditoriale italiana, siamo ancora convinti che il Paese non dovrà più inseguire i suoi competitor, in primis la Germania, ma potrà guidare l’industria europea verso un cambiamento delle regole competitive. Le singole imprese dovranno però concentrarsi non solo sull’innovazione tecnologica di processo e prodotto abilitata da Industria 4.0, ma soprattutto sull’innovazione strategica di modello di business.
Vale la pena sottolinearlo più volte affinché il messaggio sia ben compreso. La sfida strategica da vincere non è tanto fare meglio, ossia più efficacemente ed efficientemente, le stesse cose, ma fare cose diverse o farle in modo diverso.
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