Industria italiana autobus finisce in mani turche: Karsan sale al 70%
di Ilaria Vesentini
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A dispetto degli impegni e dei proclami ufficializzati negli ultimi sei mesi dal Governo giallo-verde per salvare la bandiera tricolore sulle due fabbriche e i 450 addetti di Industria italiana autobus tra Bologna e Avellino, la società è finita in mani turche. Ad aggiudicarsi il 70% della realtà industriale nata il 1° gennaio 2015 dalle ceneri degli storici marchi Irisbus e Bredamenarinibus è Karsan Otomotiv, compagnia fondata nel 1966 nella metropoli ottomana Bursa – principale distretto turco dell’automotive – dall’imprenditore locale Inan Kıraç, che fino a ieri aveva il 5% di IIA e ora è salito al 70%, attraverso un aumento di capitale fino a 3,6 milioni di euro, riporta Reuters.
Esce completamente di scena il fondatore, presidente e ad di IIA, Stefano Del Rosso, che con la sua Tevere Spa aveva l’83% delle quote: il 65% lo ha ceduto ai partner turchi che già costruivano sul mar di Marmara gli autobus italiani, vista la paralisi dei due siti tra l’Emilia e l’Irpinia, l’altro 18% passa a Leonardo-Finmeccanica, che sale così al 30%, avendo già in pancia le quote della proprietà Bredamenarinibus. Ma non c’è alcun cambio di strategia neppure da parte del colosso nazionale dell’aerospazio, perché chi ha seguito dall’interno il dossier IIA conferma la volontà di Leonardo di uscire dal settore degli autobus, non viceversa. L’aumento di capitale al fianco dei turchi è da leggersi come volontà di supportare il percorso di ristrutturazione in nome della continuità aziendale. Insomma, un’operazione transitoria.
È lecito per altro dubitare che Karsan abbia intenzione di cedere il controllo dell’asset appena conquistato, visto che porta in dote 1.100 commesse di autobus italiani e il controllo totale di un marchio forte made in Italy nell’industria del trasporto su gomma, qual è Menarini, brand che già i turchi utilizzavano su licenza nei mercati dell’Est Europa. Così come è lecito dubitare che una florida realtà industriale come Karsan, 157 milioni di euro di fatturato 2017 in forte crescita, abbia interesse a rilanciare la produzione nelle fabbriche italiane, visto che può già contare non solo sulla forza della holding - Kiraça Group of companies, che controlla l’intera filiera manifatturiera automotive in Turchia – ma su due stabilimenti di proprietà a Bursa, all’avanguardia tecnologica e con grande capacità produttiva e flessibilità. Qui costruisce dalle auto ai truck, dai minivan agli autobus, a marchio proprio e come OEM (per clienti come Peugeot e Hyundai). Con 1.600 dipendenti diretti il cui stipendio medio non arriva a 600 euro al mese.
Un altro schiaffo all’industria nazionale, cui hanno contribuito le promesse non seguite dai fatti del ministro Luigi di Maio – che preferisce non commentare l’operazione – e la presa di posizione dei sindacati, Fiom in primis, che dall’estate scorsa si sono schierati sul fronte della “nazionalizzazione” scommettendo sulla promessa ricapitalizzazione firmata Invitalia, Leonardo-Finmeccanica e Ferrovie dello Stato. Girando invece le spalle, al pari dei poteri forti romani, al progetto industriale di rilancio che questa estate Del Rosso aveva presentato assieme al partner bolognese Sira Group (azienda storica leader nei radiatori).
Chiusa la due diligence in ottobre, né Gruppo Fs né il Mise hanno più fatto sapere nulla, ricorda Del Rosso. «Abbiamo consegnato gli ultimi mezzi costruiti tra Bologna e Flumeri prima dell’estate, da allora le fabbriche sono ferme, nonostante ci fossero commesse per 1.100 autobus da realizzare, un backlog di 250 milioni di euro che ora passa in Turchia. Mi sono fatto da parte questa estate di fronte alla proposta del Governo di prendere in mano la società e renderla pubblica. Sono fuori e non voglio più saperne nulla. Mi auguro di cuore che con queste nuove forze l’azienda possa decuplicare i numeri che sono riuscito a fare io», conclude Del Rosso.
Ed è chiaro che non rifarebbe più la scommessa di quattro anni fa, quando sotto il Governo Renzi, tra gli applausi di istituzioni e sindacati, si mise a capo del futuro “polo nazionale del trasporto su gomma”, con Fiat che cedeva il sito di Valle Ufita e Finmeccanica quello di Bologna. Pur sapendo tutti già allora che servivano molti capitali (che Del Rosso non aveva) per far tornare competitivi gli stabilimenti, dopo anni di stop produttivi.
«L’alternativa ai turchi era l’apertura di una procedura concorsuale, perché non c’erano le condizioni per proseguire l’attività di fronte al silenzio del Governo», ricorda Del Rosso. L’attenzione si sposta ora su Antonio Bene, nominato da Karsan presidente di IIA, nome noto nell’automotive italiano un curriculum tra Fiat, Ferrari, Maserati, Tofas e il centro ricerche Fiat Elasis (Bene siede nel Cda di Karsan assieme a un altro guru ex Fiat, Giancarlo Boschetti, oggi vice del magnate turcoİInan Kıraç). Sarà lui a rispondere ora del futuro dell’industria italiana degli autobus.
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