«Industria, ricerca e microprocessori salveranno la terra da emissioni e climate change»
In un’ora il sole fornisce al pianeta l’energia che serve per un giorno: bisogna investire per andare a catturarla
di Lello Naso
5' di lettura
Si sta godendo gli ultimi scampoli di estate nel suo buen retiro pugliese, a Ostuni, dove nel 2005, quando è andato in pensione, ha comprato una casa di campagna. Passeggiate, letture, tempo dedicato alla riflessione. Pasquale Pistorio, 86 anni portati con un’invidiabile leggerezza, è uno dei pochi manager italiani che può essere definito un grande vecchio. Senza enfasi e senza che lui si dolga del “vecchio”. Negli anni 80 è stato protagonista, da pioniere, della modernizzazione dell’industria italiana con idee che si sono rivelate avanti nel tempo di mezzo secolo. Il primato della microelettronica, la necessità del taglio delle emissioni, l’esigenza della lotta alla disuguaglianza. I temi dell’agenda globale del presente. Oggi, l’ingegnere si sente anagraficamente vecchio, ma non da buttare. «Sono andato in pensione nel 2005 e da allora non ho più accettato incarichi di prima linea. Ma non ho mai pensato di darmi all’ozio. I miei genitori hanno vissuto quasi un secolo e, se tutto va bene, non ho intenzione di passare altri quindici anni a navigare su Internet».
Pistorio non ha perso l’ironia e la praticità che hanno segnato la sua lunga stagione di manager visionario. Siciliano di Agira, paesino della provincia di Enna più profonda, si laurea in ingegneria al Politecnico di Torino. È a lungo vicepresidente della Motorola negli Stati Uniti e poi amministratore delegato della StMicroelectronics in Italia (dove vivrà anche una breve stagione da presidente di Telecom). Pistorio, membro della Commissione delle Nazioni Unite per colmare la frattura digitale, dispensa ancora, se richiesti, consigli al gotha dell’imprenditoria globale. Ma, soprattutto, si dedica alla sua Fondazione, impegnata nel campo dell’istruzione - in Africa, Asia e nel Sud dell’Italia - e per la diffusione di una cultura industriale basata sulla sostenibilità economica ed ecologica. Cavalli di battaglia fin dai tempi in cui arrivò in Italia al capezzale della morente Sgs, la società di elettronica controllata dall’Iri poi diventata Stm.
«Cercavano un manager specializzato nell’elettronica e con una forte esperienza negli Stati Uniti, allora paese guida del settore. Non eravamo tantissimi e così venni scelto. Ricordo come fosse ieri il mio arrivo a Roma, il primo luglio 1980. Le riunioni immediate, i colloqui con i manager, la consapevolezza che la società era tecnicamente fallita da dieci anni e che, nonostante questo, c’era uno spirito anti-mercato che animava il board e che andava debellato al più presto. La convinzione del consiglio d’amministrazione era che fare utili in una società pubblica fosse dannoso. Un assurdo, il contrario delle più elementari regole della buona amministrazione, soprattutto in un’azienda a forte connotazione tecnologica».
Pistorio ha contro il board, ma ha dalla sua parte Romano Prodi, presidente dell’Iri che lo ha voluto alla guida della società e gli dà carta bianca. «Per prima cosa me ne sono letteralmente infischiato del consiglio d’amministrazione, troppo condizionato dalla politica, e ho fissato come primo obiettivo il ritorno immediato all’utile. In un mese ho ridotto drasticamente i manager, nonostante io non sia mai stato un tagliatore di teste. Poi ho spiegato a tutta l’azienda che non poteva esserci sviluppo senza industria, non poteva esserci industria senza elettronica e non poteva esserci elettronica senza microprocessori. Nel settore eravamo l’azienda numero 28 del mondo per fatturato, ma avevamo in mano il più promettente dei business, quello dei microchip».
Visto dopo quaranta anni sembra facile, ma Pistorio e la sua squadra di manager hanno fatto quella che veniva considerata un’impresa impossibile. «Abbiamo investito moltissimo in ricerca, il 22 per cento del fatturato di media, e siamo riusciti a tirare fuori il meglio di quello che già c’era nell’azienda. Il carburo di silicio scoperto a Catania dall’ingegner Giuseppe Ferla, le applicazioni sui Bcd dei laboratori di Castelletto. In due anni abbiamo raggiunto il primo utile». Nel 2005, quando Pistorio ha lasciato l’azienda, Sgs che nel frattempo era diventata la joint venture italo-francese StMicroelectronics, era diventata la quarta impresa al mondo del settore, un colosso all’avanguardia nella ricerca quotato a Milano, Parigi e New York.
Una forza propulsiva che negli anni successivi è rallentata. L’Europa ha perso smalto e sul mercato globale si sono affacciati i colossi asiatici. Pistorio è stato per anni consulente di Csm, il big dei semiconduttori di Singapore, di cui è cittadino onorario. «Ho vissuto a lungo in Asia, la loro spinta alla crescita è destinata a continuare. Ma l’Europa ha le carte in regola per riprendere la corsa. Il Chip’s Act è uno strumento efficace e le prime operazioni di Intel e Stm nel Vecchio Continente, in particolare la partnership di Stm con Global Foundries per l’impianto di Grenoble, vanno nella giusta direzione. I Governi devono assecondare le imprese: per un nuovo stabilimento di microchip servono investimenti per 10-15 miliardi. Bisogna insistere proprio adesso, la crisi dei microprocessori è destinata a ricomporsi presto. C’è stato un eccesso di domanda che è già in via di superamento e nel 2023 il mercato tornerà alla normalità».
Microprocessori, semiconduttori, la tecnologia più sofisticata e l’industria, Pistorio non ha affatto cambiato opinione, saranno gli strumenti che potranno risolvere i grandi problemi dell’umanità. L’abbattimento delle emissioni e il cambiamento climatico in primis. «In questa casa di vacanze in Puglia abbiamo installato i pannelli solari nel 2006, quando un impianto da un kilowattora di sei metri quadrati costava seimila euro. Oggi per la stessa potenza bastano tre metri quadrati e duemila euro. Il pay back di un impianto domestico è di circa cinque anni contro i dieci-quindici dell’inizio. La tecnologia è già a un livello altissimo e i progressi non si fermano. I pannelli solari bifacciali che Enel Green Power costruisce a Catania sono di livello eccellente. Come ha spiegato il professor Rubbia, il sole fornisce in un’ora l’energia necessaria per un giorno al pianeta terra. Basta solo catturarla. Bisognerebbe iniziare a fornire di pannelli tutti gli edifici pubblici e i parcheggi e incentivare i privati. Ne ho parlato più volte con il ministro Cingolani, il fotovoltaico è la forma di energia più disponibile e meno impattante. Pensiamo alle potenzialità enormi del Nordafrica, in cui iniziano gli investimenti in grandi impiandi fotovoltaici, per esempio. Bisogna abbandonare il carbone e nel tempo non ci sarà neanche la necessità di trivellare il suolo e di ricorrere all’energia nucleare, un rischio politico troppo grande per l’umanità. Non è un caso che la Germania abbia deciso di abbandonarla e anche la Francia, credo, andrà ad esaurimento».
Ma non bisogna avere esitazioni. «Nel 1993, il primo decalogo ambientale dell’Unione europea fissava al 2003 l’obiettivo di una società carbon free. Oggi puntiamo ad arrivarci al 2027, con la neutralità energetica fissata al 2050. Ma dobbiamo fare tutti uno sforzo, anche a costo di rinunciare a qualcosa. Non capisco un certo ambientalismo che dice no a tutto: che fastidio danno, se ben collocati, i parchi eolici e gli impianti solari? L’auto elettrica è una realtà, inutile remare contro. Entro la metà delle prossima decade il parco auto globale sarà interamente elettrico o a idrogeno e l’industria europea e italiana dei microchip può avere un ruolo molto importante. Bisogna lavorare in questa direzione».
La buona politica, Pistorio ne è certo, avrà un ruolo determinante. «Bisognerà mettere davvero al centro gli interessi e le esigenze dei cittadini. La crisi che ha portato alle dimissioni del presidente Draghi, uno degli uomini migliori che abbiamo, è stato uno spettacolo indecoroso. Non si è fatto l’interesse del Paese. Le disuguaglianze nella nostra società sono intollerabili. Troppe persone vivono sotto la soglia della povertà, mentre ci sono manager che percepiscono retribuzioni incomprensibili, milioni di dollari. Ma cosa se ne fanno di tutti quei soldi? Io guadagnavo 300 milioni di lire l’anno e non mi posso certo lamentare della vita che ho fatto. Bisogna avere il coraggio di fare anche cose scomode. Ho vissuto dieci anni in Francia e diciassette in Svizzera: là si paga un’imposta patrimoniale e nessuno si lamenta. Una patrimoniale che escluda la prima casa e colpisca solo le grandi liquidità non sarebbe uno scandalo».
loading...