Serie tv

Infelicità di un’icona che voleva essere pop

The Andy Warhol diaries. Dagli amori tormentati alla paura di invecchiare: il lato privato dell’artista newyorchese raccontato dalla sua voce ricostruita da un software di intelligenza artificiale che legge i brani del suo diario

di Gianluigi Rossini

Andy Warhol (1928-1987) è stato un pittore, grafico, scultore, sceneggiatore, produttore e regista

2' di lettura

A partire dal 4 novembre del 1976 e fino a poco prima della sua morte nell’87, Andy Warhol ha tenuto un diario per via telefonica: ogni mattina, dal lunedì al venerdì, si faceva chiamare dall’amica e segretaria Pat Hackett, che ascoltava il suo racconto della giornata precedente e lo annotava. Hackett pubblicò i diari nell’89, un librone di 800 pagine dove è possibile trovare i pensieri più intimi di un artista tanto famoso quanto restio a mostrare il proprio privato. Ora i diari diventano anche una serie tv in sei episodi, prodotta da Ryan Murphy e girata da Andrew Rossi, che uscirà su Netflix il 9 marzo.

Il marchio di Murphy è ben visibile: c’è molto melodramma, sia nel racconto sia nei numerosi momenti di commozione dei testimoni chiamati a parlare (tantissimi, tra amici, artisti, galleristi, accoliti della Factory e di «Interview Magazine»); si scava con una certa morbosità nelle questioni sentimentali e sessuali: non si dice, per esempio, se tra Warhol e Basquiat ci fosse una relazione anche sessuale, ma la domanda viene posta più e più volte. C’è, inoltre, un elemento di spettacolarità tecnica, ovvero la voce di Warhol ricostruita tramite un software di intelligenza artificiale, che legge i brani di diario come un narratore. L’artista che ha dichiarato di voler essere una macchina ne sarebbe stato sicuramente contento.

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Al netto di qualche prolissità (alcuni episodi superano i 70 minuti e sono troppi) la serie è interessante e godibile, a patto che non si cerchi in essa una disamina dell’artista ma un ritratto dell’uomo. Inevitabilmente si parla anche di arte e di processo creativo, in particolare nella parte dedicata ai favolosi primi anni 80 newyorkesi (Basquiat, Haring, Clemente, Sharf), oppure nel finale quando si interpreta la sua opera L’ultima cena alla luce dell’epidemia di AIDS. Ma molto più spazio è dedicato alle due grandi storie d’amore, quella quasi borghese con Jed Johnson e quella tragica con Jon Gould. Uno dei soggetti principali è proprio l’infelicità di Warhol: il suo senso di solitudine, il rapporto problematico con il proprio aspetto fisico, la paura di invecchiare, di non essere più rilevante, il desiderio di essere accettato dalla cultura mainstream.

The Andy Warhol diaries

Ryan Murphy e Andrew Rossi

Netflix, dal 9 marzo

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